lunedì 18 ottobre 2010

Quei santini sotto i parastinchi


Adesso i santini vengono messi dentro parastinchi in carbonio che costano anche 2.000 euro e sono come suol dirsi personalizzati, nel senso che magari padre Pio sta proprio sotto la protuberanza della protezione studiata ad hoc per quel certo calciatore.
Indossare di fisso la maglietta di salute della mamma, bruciare le scarpe da gioco quando c’è stata sfortuna, indossare sempre lo stesso abito non si può più: i prodotti, dall’uniforme da gioco alla divisa sociale, sono tutti firmati da sponsor che pagano, eccome, perché vengano esibiti regolarmente.
La superstizione nel mondo dello sport, e specie in quello del pallone che come suol dirsi è rotondo e gira spesso a caso, esiste ancora, ma ormai si piega a tecnologie, contratti, diritti e doveri dell’immagine. Si toccherà sempre più vistosamente l’erba del campo, per farsela amica, quando sarà sintetica e grandi ditte si disputeranno gli appalti del freddo, perfetto verde minerale. E intanto il giocatore deplora i veti di piercing, collane, orecchini, anelloni e altri orpelli speciali: è sicurezza al-trui, ma è insicurezza sua.
D’altronde tutto lo sport moderno, algido e scientifico, regolato e assistito, imbrigliato e programmato, sta diventando un lavoro da fare freddamente bene in ogni occasione, non da pigmentare con la superstizione, la fantasia o l’assillo della superstizione. Certe scelte del passato anche recente appaiono sempre più patetiche, sempre meno funzionali. Il ciclista Felice Gimondi vinceva nel 1965 il Tour de France portando alla caviglia una cordicella benedetta da un frate di un convento delle sue valli bergamasche, e se alla fine della corsa vento e pioggia e polvere si erano mangiati la canapa lui entrava in crisi. E non c’è foto di Giampiero Boniperti in cui non si notino, quando lui calcia in porta, due dita di una mano incrociate.

G.P.O.



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