domenica 1 gennaio 2017

Chi erano i pastori di Beltemme?

Giorgione (1478 - 1510)



Al tempo di Gesù i pastori erano considerati impuri e peccatori, che, secondo le scritture, il Messia alla sua venuta, avrebbe eliminato fisicamente. Erano servi malpagati e sfruttati da parte dei proprietari del gregge, e quindi sopravvivevano con il furto ai padroni o agli altri pastori con i quali contendevano i pascoli (Gen 13,7; 26,20). Vivevano di ruberie e spesso ci scappava anche il morto. Inoltre, per la loro condizione di vita, isolati nelle montagne e nei pascoli per gran parte dell’anno, a contatto solo con le bestie, erano per lo più bruti, selvaggi pericolosi che era sconsigliabile incontrare. Erano esclusi dal tempio e dalla sinagoga, per loro non c’era alcuna possibilità di salvezza. Erano esclusi anche dal perdono di Dio perchè non potevano restituire quel che avevano rubato, secondo quanto era prescritto dalla Legge (Lv 5,21-24). Privati dei diritti civili, esclusi dalla vita sociale, ai pastori era negata la possibilità di essere testimoni, poiché, in quanto ladri e bugiardi, non erano credibili e valevano meno delle bestie che dovevano accudire. Equiparati agli immondi pagani, per i quali non c’era alcuna speranza, si insegnava infatti che, se si poteva tirare fuori un animale caduto in una fossa il pastore no: «Non si tirano fuori da un fosso né i pagani né i pastori». La condizione più disprezzata era quella del pastore.
Una volta non era così infatti il re Davide, ispirato da Dio, aveva scritto in uno dei salmi più sublimi: «Il Signore è il mio pastore» (Sal. 23,1)? Al tempo in cui Davide scriveva il salmo, la società palestinese era diversa, era ancora di stampo nomade, e nel mondo beduino il ruolo del pastore era importante, al punto da diventare figura del capo, del re, e quindi di Dio. Poi la società andò mutando e diventò sempre più sedentaria, passando dall’attività prevalente della pastorizia a quella dell’agricoltura. Ora si sa che tra agricoltori e pastori c’è stata tensione e non è mai corso buon sangue, perchè gli interessi degli uni sono a scapito di quelli degli altri. L’atavica rivalità tra agricoltori e pastori veniva fatta risalire al Libro della Genesi, addirittura a Caino e Abele, causa del primo assassinio della storia dell’umanità (Gen 4,3-8).
Al tempo di Gesù l’immagine idilliaca del pastore era ormai un ricordo e la realtà era ben altra. Raffigurati come nemici del Signore, ai pastori spettava solo il castigo di Dio. Castigo che la società del tempo aspettava con l’apparizione del Messia. 

Con Gesù cambia il concetto di Dio

Con Gesù però Dio non è più lo stesso di prima, e neanche i pastori saranno più gli stessi di prima. Infatti proprio ai pastori, viene annunciata la nascita del loro Salvatore. Con Gesù cambia il concetto di Dio che non è colui che punisce, ma colui che salva; non colui che castiga, ma colui che perdona. Inoltre bisogna considerare che colui che annuncia ai pastori la nascita di Gesù è l’Angelo del Signore, espressione con la quale nella Bibbia non si indica un angelo qualsiasi inviato dal Signore, ma Dio stesso che entra in contatto con gli uomini. Dio era considerato lontano, inavvicinabile, era l’Altissimo, nell’alto dei cieli, e non entrava in contatto diretto con gli uomini. Quando lo faceva, si usava la formula Angelo del Signore (Gen 16,10-13). Immagine ed estensione dello stesso Dio, l’Angelo del Signore incuteva paura. Era infatti raffigurato «con la spada sguainata in mano» (1Cr 21,16), pronto a Castigare, punire, sterminare («porta lo sterminio in tutto il territorio d’Israele», 1Cr 21,12). Alla sua vista, i pastori «furono impauriti di grande paura» (Lc 2,9). Pensarono che fosse giunta la loro ora, quella di essere inceneriti dall’ira divina, come aveva annunciato il profeta Isaia.
Ma con Gesù appare il vero volto di Dio il ruolo dell’Angelo del Signore non è più in funzione del castigo e della punizione, da ora in poi sarà solo in funzione della vita. L’Angelo del Signore nel vangelo di Luca compare tre volte, e sempre per annunciare una nuova vita: al sacerdote Zaccaria annuncia la nascita del figlio Giovanni, a Maria quella di Gesù e ai pastori quella del Salvatore. Ma i pastori questo ancora non lo sanno, e rimangono nel terrore della fine imminente. Invece dal cielo non scende un fuoco distruttore che li annienta, ma «la gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,9). La gloria del Signore, ovvero il suo amore, avvolge, abbraccia completamente i pastori inondandoli della sua luce.

L’amore come dono non come premio

Il Signore non ha chiesto ai pastori di pentirsi del loro comportamento, non li ha invitati a far penitenza per i loro peccati, neanche ha imposto loro di purificarsi o di recare offerte al tempio. Li ha amati, e l’amore rende liberi, ma non solo. I pastori hanno sperimentato l’amore come regalo e non come premio, come dono e non come frutto dei loro meriti.
Una volta che si fa esperienza di questo amore, e lo si accoglie, non esistono più barriere tra Dio e gli uomini, non si è più gli stessi di prima, perché Dio non e piu lo stesso.
I pastori credevano di essere i più lontani da Dio per la loro condizione di impurità, di illegalità, di peccato e si ritrovano di colpo a essere i più vicini al Signore, al punto che se ne ritornano alle loro greggi «glorificando e lodando Dio» (Lc 2,20), svolgendo il ruolo dei sette angeli ammessi al servizio di Dio’°, gli esseri piu vicini a lui che avevano come compito quello di glorificarlo e di lodarlo.
E questo è solo l’anticipo della buona notizia che il neonato Gesù porterà al mondo, per la gioia dei peccatori e l’ira furibonda dei pii, per l’allegria degli emarginati dalla religione e l’astio della casta sacerdotale al potere, perché, si sa, «nessun profeta è accetto nella sua patria», proprio come succederà a Gesù (Lc 4,16-30).

Alberto Maggi da Non c'è più religione, pp. 11-21.

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