La sparizione dell'uso dell'incenso
nella Messa riformata di Paolo VI è qualcosa di assolutamente
inspiegabile. Infatti mentre nel rito romano classico l'uso dell'incenso
era strettamente regolato, confinato alla sola messa cantata e alla
messa solenne (da quest'ultima non poteva mai mancare), nel rito
riveduto l'uso dell'incenso è stato invece ampiamente liberalizzato. Ma
proprio da quando lo si può usare sempre e comunque, il turibolo
fumigante è sparito dalle nostre chiese. Riappare immancabilmente al
termine dei funerali, prendendo così un senso di mestizia e di lutto che
non gli è affatto appropriato. Forse il motivo è da ricercare nella
traduzione sibillina di una rubrica del num. 276 dei Principi e norme
per l'uso del Messale Romano: l'utilizzo dell'incenso, in latino, è ad libitum, ma invece di tradurre questa locuzione con a piacere, nel testo CEI l'incensazione in tutte le messe è diventata semplicemente facoltativa. E si sa, nella mentalità del clero di un certo stampo, tutto quello che è facoltativo significa sconsigliato (leggasi: inutile orpello).
Ad libitum, propriamente, è invece un'espressione della lingua latina che significa "a piacere", "a volontà"! Altro che non obbligatorio, opzionale, non richiesto (cioè facoltativo)!
E' facoltativo in senso positivo (cioè hai facoltà di usarlo), ma
questa accezione in italiano non è più normalmente percepita, pertanto
la traduzione può risultare ingannevole.
Visto poi che l'incenso esprime riverenza e preghiera,
perchè mai privarsene, visto che lo si può usare, proprio nel nostro
tempo che ha tanto bisogno di segni fisici di preghiera e devozione?
Tra
l'altro, proprio i più spinti propugnatori della postmodernità,
affermano che bisogna coinvolgere tutti i sensi nel rito, non solo
"l'anima", ma anche il corpo. Il profumo soave dell'incenso, si sa, fa
entrare volenti o nolenti in "clima" mistico (come dimostra il suo uso
nelle varie religioni, non solo nel cristianesimo).
Ma in realtà c'è di più. La mia
teoria è che l'incenso, essendo un segno tipicamente sacrificale (=
bruciare una cosa preziosa con l'intenzione di offrirla a Dio), sia
stato messo in disparte proprio per questo suo inequivocabile e
ancestrale richiamo, non certo adatto ad una festa, ad una cena
tra amici, o cose del genere. Il levarsi delle volute di fumo profumato
non può che richiamare il tempio e Dio a cui si offre la vittima in
olocausto, accompagnandola con soave profumo. Nei riti offertoriali
della Messa questo era (ed è tuttora) evidente.
Già presso i pagani, l'incenso veniva bruciato davanti alle immagini degli dei e davanti all'imperatore ad essi equiparato.
Nei
primi secoli del cristianesimo, numerosi cristiani furono martirizzati
per essersi rifiutati di compiere questo gesto idolàtrico. In seguito,
tanto era forte il richiamo sgradevole della persecuzione dei non
turificanti, per distinguere il culto cristiano da quello pagano, l'uso
dell'incenso dalla liturgia fu addirittura soppresso. Esso venne
ripristinato soltanto dopo l'editto di Costantino e il declino del
paganesimo. A Roma non si usavano però turiboli o cose orientali del
genere. Il poco incenso che si utilizzava era sparso in appositi
bracieri. L'incenso all'offertorio è rientrato dal IX sec. nella
liturgia carolingia e addirittura nell'XI nella liturgia romana.
L'incenso nella Bibbia:
Per quanto riguarda la liturgia
dell'Antico Testamento, Mosè riceve dal Signore l’ordine di costruire un
altare speciale riservato all’incenso per il culto divino:
“Farai un altare sul quale
bruciare l’incenso: lo farai di legno di acacia (...). Rivestirai d’oro
puro il suo piano, i suoi lati, i suoi corni e gli farai intorno un
bordo d’oro (...). Porrai l’altare davanti al velo che nasconde l’arca
della Testimonianza, di fronte al coperchio che è sopra la
testimonianza, dove io ti darò convegno. Aronne brucerà su di esso
l’incenso aromatico: lo brucerà ogni mattina quando riordinerà le
lampade e lo brucerà anche al tramonto, quando Aronne riempirà le
lampade: incenso perenne davanti al Signore per le vostre generazioni
(...). È cosa santissima per il Signore” (Es 30,1-10).
L’incenso, veniva posto anche sopra le oblazioni bruciate sull’altare come memoriale: “profumo soave per il Signore” (cfr. Lv 2).
Più tardi, nel Tempio di Gerusalemme, nella ricorrenza annuale dell'Espiazione (Yom Kippur), il sommo sacerdote, oltrepassava il velo del Tempio ed entrava con l’incensiere nel Santo dei Santi, per bruciarvi “due manciate di incenso odoroso polverizzato”,
allora, una nube densa e profumata, avvolgeva ogni parte del luogo
santissimo in cui era custodita l’Arca dell’Alleanza (cfr. Lv 16,12-13).
In Israele, si incensavano le
persone, gli oggetti, e i luoghi riservati al culto del Dio Unico. Tutti
coloro che partecipavano al culto divino, erano invitati ad effondere
un soave profumo spirituale: “Ascoltate, figli santi...Come incenso
spandete un buon profumo” (Sir 39,13-14).
L’incenso, legato al culto degli
Israeliti, sarà più tardi presente, con la sua ricca valenza simbolica,
anche nella liturgia cristiana, soprattutto nelle Chiese d'Oriente.
Nel
Vangelo di Matteo, viene descritto l’omaggio fatto a Gesù da alcuni
personaggi misteriosi: i Magi. Costoro, giungendo dalle lontane terre di
oriente per incontrare il “re dei Giudei”, gli offrono in dono, con
l’oro e la mirra, anche l’odoroso incenso, custodito in scrigni preziosi
(Cfr Mt 2,11).
La Chiesa antica
Nel IV secolo (epoca d'oro dei liturgisti),
la famosa pellegrina Egeria, così descriveva una liturgia svoltasi nel
Santo Sepolcro di Gerusalemme: “Quando si sono cantati questi tre salmi e
fatte queste tre orazioni, ecco che vengono portati dei turiboli
all’interno della grotta dell’Anastasi, perché tutta la basilica
dell’Anastasi si riempia di profumi”. [Diario di Viaggio, 24,10]
La
solenne incensazione del luogo da cui Cristo è risorto precedeva la
lettura, da parte del vescovo, del Vangelo della risurrezione. L’uso
dell’incenso nel Santo Sepolcro, ripropone l’immagine delle donne che
portarono oli aromatici per imbalsamare il corpo del Signore e trovarono
invece l’angelo che ne annunciava la gloriosa risurrezione (Cfr Mc
1,6).
Secondo San Paolo, tutti i
cristiani, con la loro testimonianza di fede, spandono nel mondo il
profumo di Cristo che si è offerto al Padre “in sacrificio di soave
odore”(Cfr 2Cor 2,14-16; Ef 5,2).
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L'Ordinamento generale del Messale Romano,
rivisto nel 2000, descrive così il senso e il modo di utilizzare nel
rito eucaristico l'incenso (lo leggiamo in latino con le traduzioni
interlineari):
276. Thurificatio seu incensatio reverentiam exprimit et orationem, ut in Sacra Scriptura significatur (cf. Ps. 140, 2; Apoc. 8, 3). L’incensazione esprime riverenza e preghiera, come è indicato nella sacra Scrittura (Cf. Sal 140, 2; Ap 8, 3).
Incensum ad libitum adhiberi potest in qualibet forma Missae:
Trad. CEI: L’uso dell’incenso in qualsiasi forma di Messa è facoltativo: (Leggi: anche nella messa solenne si può omettere)
Trad. Letterale: L'incenso può essere usato a piacere in qualsiasi forma di Messa: (Leggi: anche nella messa letta e quotidiana si può utilizzare!)
* durante processione ingressus; durante la processione d’ingresso;
* initio Missae, ad crucem et altare thurificandum;
all’inizio della Messa, per incensare la croce e l’altare;
* ad processionem et ad proclamationem Evangelii;
* ad processionem et ad proclamationem Evangelii;
alla processione e alla proclamazione del Vangelo;
* pane et calice super altare depositis, ad thurificanda oblata, crucem et altare, necnon sacerdotem et populum;
* pane et calice super altare depositis, ad thurificanda oblata, crucem et altare, necnon sacerdotem et populum;
quando sono stati posti sull’altare il pane e il calice, per incensare le offerte, la croce e l’altare, il sacerdote e il popolo;
* ad ostensionem hostiae et calicis post consecrationem.
* ad ostensionem hostiae et calicis post consecrationem.
alla presentazione dell’ostia e del calice dopo la consacrazione.
Ante et post thurificationem fit profunda inclinatio personae vel rei quae incensatur, altari et oblatis pro Missae sacrificio exceptis.
Prima e dopo l’incensazione si fa un profondo inchino alla persona o alla cosa che viene incensata, non però all’altare e alle offerte per il sacrificio della Messa.
Tribus ductibus thuribuli incensantur: Ss.mum Sacramentum, reliquia sanctae Crucis et imagines Domini publicae venerationi expositae, oblata pro Missae sacrificio, crux altaris, Evangeliarium, cereus paschalis, sacerdos et populus.
Con tre colpi del turibolo si incensano: il SS. Sacramento, la reliquia della santa Croce e le immagini del Signore esposte alla pubblica venerazione, le offerte per il sacrificio della Messa, la croce dell’altare, l’Evangeliario, il cero pasquale, il sacerdote e il popolo.
Duobus ductibus incensantur reliquiae et imagines Sanctorum publicae venerationi expositae, et quidem initio tantum celebrationis, cum incensatur altare.
Con due colpi si incensano le reliquie e le immagini dei Santi esposte alla pubblica venerazione, unicamente all’inizio della celebrazione, quando si incensa l’altare.
Altare incensatur singulis ictibus hoc modo:
L’altare si incensa con singoli colpi in questo modo:
* si altare est a pariete seiunctum, sacerdos illud circumeundo incensat;
a) Se l’altare è separato dalla parete, il sacerdote lo incensa girandogli intorno;
* si vero altare non est a pariete seiunctum, sacerdos transeundo incensat primo partem dexteram, deinde partem sinistram.
Crux, si est super altare vel apud ipsum, thurificatur ante altaris incensationem, secus cum sacerdos transit ante ipsam.
277. Sacerdos, cum incensum ponit in thuribulum, illud benedicit signo crucis, nihil dicens.
Il sacerdote quando mette l’incenso nel turibolo lo benedice tracciando un segno di croce, senza nulla dire.Ante et post thurificationem fit profunda inclinatio personae vel rei quae incensatur, altari et oblatis pro Missae sacrificio exceptis.
Tribus ductibus thuribuli incensantur: Ss.mum Sacramentum, reliquia sanctae Crucis et imagines Domini publicae venerationi expositae, oblata pro Missae sacrificio, crux altaris, Evangeliarium, cereus paschalis, sacerdos et populus.
Con tre colpi del turibolo si incensano: il SS. Sacramento, la reliquia della santa Croce e le immagini del Signore esposte alla pubblica venerazione, le offerte per il sacrificio della Messa, la croce dell’altare, l’Evangeliario, il cero pasquale, il sacerdote e il popolo.
Duobus ductibus incensantur reliquiae et imagines Sanctorum publicae venerationi expositae, et quidem initio tantum celebrationis, cum incensatur altare.
Con due colpi si incensano le reliquie e le immagini dei Santi esposte alla pubblica venerazione, unicamente all’inizio della celebrazione, quando si incensa l’altare.
Altare incensatur singulis ictibus hoc modo:
L’altare si incensa con singoli colpi in questo modo:
* si altare est a pariete seiunctum, sacerdos illud circumeundo incensat;
* si vero altare non est a pariete seiunctum, sacerdos transeundo incensat primo partem dexteram, deinde partem sinistram.
b)
Se invece l’altare è addossato alla parete, il sacerdote lo incensa
passando prima la parte destra dell’altare, poi la sinistra.
Crux, si est super altare vel apud ipsum, thurificatur ante altaris incensationem, secus cum sacerdos transit ante ipsam.
La
croce, se è sopra l’altare o accanto ad esso, viene incensata prima
dell’altare; altrimenti quando il sacerdote le passa davanti.
Oblata incensat sacerdos tribus ductibus thuribuli, ante incensationem crucis et altaris, vel signum crucis super oblata thuribulo producens.
Il
sacerdote incensa le offerte prima dell’incensazione della croce e
dell’altare con tre colpi di turibolo, oppure facendo col turibolo il
segno di croce sopra le offerte.Oblata incensat sacerdos tribus ductibus thuribuli, ante incensationem crucis et altaris, vel signum crucis super oblata thuribulo producens.
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Per
i sacerdoti fermi alle rubriche della prima e seconda edizione del
Messale: in questi numeri ci sono delle novità (ovvero un ripristino di
ritualità antiche) che non sono ancora entrante nell'uso di molti
celebranti (ovviamente per scarsa dimestichezza con il turibolo che
vedono raramente).
1) Quando il sacerdote impone l'incenso, adesso lo benedice formando
un segno di croce con la mano destra, senza dire nulla (questo perchè
sono state abolite, ahimè, le parole che nel rito antico accompagnavano
questo gesto. Il gesto è tornato - la preghiera no: ab illo benedicaris in cuius honore cremaberis).
Il fumo che proviene dall'incensiere - si sono ricordati i correttori
delle rubriche - deve essere benedetto. Quando arriva alle narici dei
credenti esso è portatore della benedizione che li avvolge e li pervade.
Tutti i partecipanti al rito eucaristico sono incensati: tutti sono
offerta gradita a Dio! Quale potente simbolismo del sacerdozio comune
riscoperto dal Vaticano II! (Il sacerdozio comune, lo ricordo, abilita ad offrire se stessi in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, come e con Cristo).
2) Il sacerdote si inchina prima
di incensare cose e/o persone, ma non ci si inchina prima di incensare
le oblate sopra l'altare all'offertorio (come molti fanno).
2) Le oblate si possono
incensare "facendo col turibolo il segno della croce" sopra di esse.
Anche questo è un "ritorno" graditissimo (eppure poco utilizzato, perchè
anche questo ad libitum). Vi posto qui sotto il disegno classico
che guida i sacerdoti ad imparare come incensare le offerte nel rito
romano. E' oggi applicabile non solo al rito antico, ma come mostrano le
rubriche rinnovate, anche al rito ordinario.
Se
poi - cari sacerdoti - volete sussurrare mentalmente anche le parole
che accompagnano l'incensazione cruciforme, penso possa essere un utile
richiamo mistico del significato del gesto che state compiendo.
Incensare muovendo il turibolo in forma di croce, rievoca evidentemente
il sacrificio del Signore che sta per compiersi sull'altare; mentre
l’incensazione circolare, significa che i doni e le offerte sono stati circoscritti, riservati cioè al culto divino.
Ecco lo schema dal Messale di Giovanni XXIII che illustra le modalità e le preghiere per incensare nella forma straordinaria:
Incensum istud, a te benedictum, ascendat ad te, Domine, et descendat super nos misericordia tua.
Quest'incenso da te benedetto, salga a te, o Signore, e discenda su di noi la tua misericordia
mentre incensa l'altare il sacerdote sussurrava il Salmo 140,2-4:
Dirigatur, Domine, oratio mea, sicut incensum in conspectu tuo:elevatio manuum mearum sacrificium vespertinum.
Pone, Domine, custodiam ori meo, et ostium circumstantiæ labiis meis:
ut non declinet cor meum in verba malitiæ, ad excusandas excusationes in peccatis.
- Come incenso salga a te la mia preghiera,
le mie mani alzate come sacrificio della sera.
Poni, Signore, una custodia alla mia bocca,
sorveglia la porta delle mie labbra.
Non lasciare che il mio cuore si pieghi a parole piene di malizia
per trovar scuse con cui giustificare i miei peccati.
restituendo il turibolo al diacono o al ministrante dice:
Accendat in nobis Dominus ignem sui amoris, et flammam æternæ caritatis. Amen.
Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma dell'eterna carità. Amen
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Basilica di Santa Maria Maggiore - Domenica, 14 agosto 1988
“Come incenso salga a te la mia preghiera,
le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 140, 1).
“Come incenso salga a te la mia preghiera,
le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 140, 1).
1. Con queste parole il salmista rende esplicito il legame simbolico tra la preghiera vespertina e il salire dell’incenso.
Il levarsi delle volute di
incenso esprime con grande potenza evocativa l’anelito dello spirito
umano a librarsi verso l’alto, a superare le angustie quotidiane, per
riconoscere il senso della propria esistenza e ricongiungersi con Dio.
Con l’incarnazione, il Verbo ha voluto assumere la natura umana ed è
entrato in un nuovo rapporto anche con il cosmo, per presentarlo a Dio
Padre quale offerta a lui gradita.
Nella visione sicura della fede,
il bisogno di infinito, di perfezione, di comunione intima e profonda
della creatura col Creatore non è semplice nostalgia o sogno
dell’impossibile, ma è un pellegrinaggio ininterrotto, una tensione
perenne, dell’uomo verso il suo fine che si esprime incessantemente in
atteggiamenti di “condiscendenza”.
“Fecisti nos ad te, et inquietum
est cor nostrum donec requiescat in te”, ci ricorda il santo vescovo
Agostino (S. Augustini “Confessiones”, 1,1).
Questo incenso che sale senza
tregua al cielo porta con sé l’aspirazione profonda del nostro cuore,
verso Dio che si esprime nell’anelito della preghiera. L’incenso
accompagna dunque il levarsi delle nostre mani al cielo, per offrire a
Dio la nostra sete di lui e, nello stesso tempo, per presentargli
persone e cose, desideri e aspirazioni.
...Partecipando all’odierna
preghiera dell’incenso desideriamo fare nostri idealmente i toni
variegati e molteplici di ogni liturgia della Tradizione dell’Oriente,
anche di quelle che non si sono potute celebrare in questa alma città.
La liturgia copta, così adatta
ad esprimere l’attesa vigilante del monaco che, con i fianchi cinti e le
lucerne accese, accoglie il rivelarsi discreto, ma sicuro del suo
Signore, è la voce mirabile, con cui oggi si esprime la fervida attesa
della Chiesa per il Signore che viene....
4. Diletti fratelli e sorelle,
amate questa vostra liturgia, nella quale e con la quale oggi prega con
voi il Vescovo di Roma; sentitela come espressione viva della vostra
sensibilità religiosa e culturale; vedetela come frutto originale di cui
la Chiesa universale va fiera. Difendetene l’eredità, perché continui
ad essere il luogo ove il palpito del vostro cuore si fa più
spontaneamente preghiera. Siate sempre in continuità con la
testimonianza gloriosa dei vostri padri nella fede, i quali,
alimentandosi alla liturgia seppero sostenere le prove del martirio e
compiere con coraggio e fermezza scelte di vita impegnative. Non aderite
con eccessiva improvvisazione alla imitazione di culture e tradizioni
che non siano le vostre, tradendo così la sensibilità che è propria del
vostro popolo.
Molte volte i miei predecessori
hanno insistito su questo punto così rilevante. Vorrei qui ricordare tra
tutti, due grandi Papi, benemeriti per l’Oriente cristiano: Benedetto
XIV, al quale dobbiamo la costituzione “Demandatam”, del 24 dicembre
1743; e Leone XIII, che ha emanato la celebre lettera apostolica
“Orientalium Dignitas Ecclesiarum”, il 30 novembre 1894.
A loro fa eco il Concilio
Vaticano II che con vigore sottolinea come “non si devono introdurre
mutazioni, se non per ragioni del proprio organico progresso”
(Orientalium Ecclesiarum, 6).
Questo significa che è
necessario che ogni eventuale adattamento della vostra liturgia si fondi
su uno studio attento delle fonti, su una conoscenza obiettiva delle
peculiarità proprie della vostra cultura, sul mantenimento della
tradizione comune a tutta la cristianità copta.
Testo preso da: L'uso dell'incenso nella liturgia: significato teologico & modalità pratiche http://www.cantualeantonianum.com/2009/09/luso-dellincenso-nella-liturgia.html#ixzz2gVN4aIYT
http://www.cantualeantonianum.com
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