-G.Nanni, Il dito di Dio e il potere di satana. L’esorcismo, Libreria Editrice Vaticana 2004.
-Lezioni di d. G. Nanni, tenute presso l’Ateneo Regina Apostolorum, Roma 2005.
A. IL NUOVO RITUALE PER L’ESORCISMO
Il De exorcismis et supplicationibus quibusdam (DESQ) risulta
innovativo per l'introduzione di nuove formule esorcistiche e per
l'operazione di inversione dell'ordine delle formule deprecatorie
rispetto alle imperative. Quelle che fino al vecchio Rituale erano
orationes finali, nel nuovo Rito diventano preghiere deprecatorie e
messe al primo posto. Questo cambiamento è una caratteristica della
nuova impostazione liturgica conferita al rito per gli esorcismi dal
DESQ.
0. Gli ossessi nell'attuale rituale
Il nuovo Rituale usa i seguenti termini per indicare le persone
indigenti del grande esorcismo: vexationis seu obsessionis (n. 10),
obsessum (nn. 14, 16), obsessos (n. 13), obsidentis dæmonis (n. 13),
obsessionem (n. 14), vexatum (nn. 14, 25, 28, 32, 35).
Gli ossessi, posseduti o vessati dal demonio sono l'oggetto dell'intervento della Chiesa mediante
l'esorcismo solenne.
Il DESQ, in continuità col Rito presente nel Rituale Romano del 1614,
con le variazioni ed aggiunte intercorse fino alla sua ultima edizione
del 1952, intende offrire al fedele vessato od ossesso, tra i diversi
strumenti, l'esorcismo maggiore, solenne, chiamato anche grande, che è
un'azione liturgica... che intende espellere i demoni o liberare
dall'influsso demoniaco.43
Non abbiamo nei documenti una definizione di vessazione od ossessione
diabolica, però dal DESQ possiamo trarre degli elementi in negativo per
escludere cosa non sia un'ossessione diabolica:
-non è la tentazione che i fedeli, anche se rinati in Cristo, sperimentano (DESQ n. 10)
-non sono sufficienti i normali mezzi di lotta contro la tentazione: fede, preghiera della Chiesa, sacramenti (DESQ nn. 9‑10).
-è una forma di potere del diavolo, diversa da quella che deriva dal peccato originale (DESQ n. 10).
-è una forma di potere del diavolo che ha la facoltà anche di colpire un
battezzato (DESQ n. 10), quindi ogni uomo indipendentemente dalla fede o
religione (DESQ n. 18).
-tale forma di potere è o un influsso o una presenza (che deve essere scacciata) (DESQ n. 11; CCC n. 1673).
-non è una malattia di natura psichica (DESQ n. 14; CCC n. 1673).
-non è frutto d'immaginazione (DESQ n. 14).
-non è un'infermità naturale curabile con la medicina, ma con l'esorcismo (DESQ n. 14).
-non è frutto di credulità (DESQ n. 15).
Vi sono segni positivi, che provengono dalla prassi consolidata che “vanno ritenuti segni di possessione diabolica”:
-parlare correntemente lingue sconosciute o capire chi le parla;
-rivelare cose occulte e lontane;
-manifestare forze superiori all'età o alla condizione fisica.
Essi sono solo indizi e sono da considerare anche altri segni
soprattutto d'ordine morale e spirituale. Possono essere la forte
avversione a Dio, alla Santissima Persona di Gesù, alla B. V. Maria, ai
Santi, ai riti soprattutto dei Sacramenti, alle immagini sacre (DESQ n.
16).
Questi segni vanno considerati in rapporto all'impegno spirituale nella vita cristiana.
Otteniamo pertanto un profilo in negativo del posseduto, che indica una
situazione in cui il potere del diavolo è tale da dover escludere cause
naturali, malattie d'ordine fisico e psichico; si escludono anche
fattori soggettivi come l'immaginazione o la credulità. Si tratta,
quindi, di un potere oggettivo, d'origine e natura spirituale
proveniente dal demonio. Tale potere non è affrontabile con i mezzi
della scienza medica. Non è identificabile con l'ordinaria tentazione
che proviene dal mondo o dal demonio e non sono sufficienti (o adatti
nell'immediato) i normali mezzi di grazia (esorcismo pre‑battesimale,
fede, preghiera della Chiesa, sacramenti).
Il fenomeno è oggettivamente indipendente dal credo religioso o dalla
fede e può manifestarsi in persone cattoliche, catecumeni, non–cattolici
e non–cristiani.
Si tratta più in concreto, di una persona ossessa o vessata sulla quale
grava una forma di potere del demonio che deve essere scacciato. I due
termini usati tuttora dal DESQ, ma senza esplicazione, sono spesso
accostati all'espressione “influsso diabolico”. Esso sembrerebbe
distinguersi dagli altri termini, come fosse una forma d'azione
diabolica interna alla persona, ma che esclude il possesso.
1. Il discernimento nel nuovo Rito
I numeri 14‑17 dei Prænotanda del DESQ intendono fornire indicazioni per
il discernimento della persona ossessa, se in pratica l'esorcizzando
sia ossesso o no. Vale la norma generale che si proceda all'esorcismo
solo in caso di reale possessione, così come già le fonti di diritto
canonico e liturgico indicano.44
Il DESQ al n. 14 offre una norma di carattere generale: « L'esorcista in
caso di intervento che viene detto demoniaco deve anzitutto usare la
necessaria e massima prudenza ». Poi affronta il caso in cui chi
sospetta il caso di un'ossessione diabolica sia l'esorcista: « Come
prima cosa non creda facilmente, che sia ossesso dal demonio chi soffre
di qualche malattia specialmente psichica ». Il primo pensiero
dell'esorcista, quindi, non deve essere quello di una possessione, ma di
cause naturali: una malattia, intesa in senso generico, poi in
particolare quelle della sfera psichica.
L'esorcista è nuovamente invitato alla prudenza di fronte ad una
presunta possessione ipotizzata come tale, ma frutto, questa volta,
d'immaginazione del diretto interessato, l'esorcizzando « allo stesso
modo non creda sia un'ossessione, quando per primo afferma di essere
tentato in modo particolare dal diavolo, desolato e infine vessato;
infatti può essere tentato dalla propria immaginazione ».
In entrambi i casi, l'esorcista deve discernere in modo cauto e prudente
circa il sospetto di possessione, questa prudenza deve esercitarla
quando il sospetto è presentato dalla persona, ma anche quando egli
stesso si sente portato a supporla. Questa prudenza interpretativa è
ripresa alla fine del punto 14, quando si afferma che « in ogni caso
l'esorcista valuti esattamente se colui che dice di essere tormentato lo
sia realmente ». La preoccupazione del rituale è quella di arginare una
facile tendenza ad interpretare tutti i casi come di possessione
diabolica: lo afferma esplicitamente per due volte, quando essa provenga
dalla persona interessata, e lo prescrive all'esorcista stesso, il
quale anche di fronte alla propria opinione di caso sospetto deve in
ogni occasione diffidare di se stesso e cercare quindi altre verifiche.
Tutta questa cautela, non deve far pensare che il compito dell'esorcista
sia solamente quello di tranquillizzare chi si trovi preoccupato per
l'ipotesi di essere posseduto dal Maligno: non è valida l'equazione
seguente, se il sospetto proviene dall'interessato, ciò significa che in
realtà non si tratta d'intervento diabolico. Infatti, sempre il punto
14 mette in guardia l'esorcista dal possibile inganno del demonio « di
persuadere l'ossesso di non sottoporsi all'esorcismo, e che la sua
infermità sia naturale e dipendente dalla medicina ».
In questo caso sembra che la certezza morale dell'esorcista di trovarsi
di fronte ad una vera possessione si scontri con l'incredulità
dell'esorcizzando stesso, condizionato, però, dal Maligno. Il problema
del condizionamento mentale, psicologico, pone l'esorcista nella
difficoltà concreta di discernere il male, poiché il fedele non è sempre
una fonte oggettiva o credibile, pur essendo colui che più
dettagliatamente fornisce elementi di fatti interiori od esteriori per
la valutazione. In questo caso il sacerdote esorcista deve saper
prendere una decisione che prescinde dal consenso dell'esorcizzando.
Visto che la collaborazione è un elemento fondamentale per la
liberazione, se si decide di iniziare senza il consenso
dell'interessato, si deve farlo con la prospettiva di ottenere un minimo
di libertà interiore che permetta al fedele di affidarsi pienamente
alla Chiesa. Pensiamo che il consenso debba provenire da persone vicine o
parenti del fedele, disposte ad accompagnarlo e a sostenerlo nella
lotta contro il Maligno.
La massima cautela e prudenza è dunque la norma dell'esorcista per
affrontare i casi di possessione, ma ciò non significa scetticismo,
quanto piuttosto cercare di raggiungere la certezza morale di una vera
possessione diabolica, come affermato al n. 16.
Il n. 15 del DESQ, nell'edizione 1999, introduce un'altra distinzione:
quella tra i casi d'aggressione diabolica da quelli derivanti da una
certa credulità. Essa consiste « nel ritenersi oggetto di malefici,
disgrazie o maledizioni fatte ricadere da altri su di loro o sui parenti
o sui loro beni ». In tal caso l'esorcista deve « evitare assolutamente
l'esorcismo ».
Ci sembra che qui si ponga un dubbio interpretativo. Nell'ipotesi
d'interpretazione stretta il testo potrebbe indicare che malefici,
sortilegi o maledizioni, ecc., siano in quanto tali un mero oggetto di
credulità popolare, ma senza alcun fondamento di verità e senza
riscontri nella fede e nella teologia. La conseguenza di tale
interpretazione sarebbe che ogni caso che faccia riferimento a tale
credenza non sarebbe da prendere in considerazione con divieto di
praticare l’esorcismo.
Nell'ipotesi d'interpretazione ampia il n. 15 del DESQ potrebbe indicare
un dovere dell'esorcista di distinguere tra il fatto oggettivo
(aggressione diabolica) senza escludere la causa dei malefici, ecc. e
quella credulità che porta troppo meccanicamente a ricercare in quelle
cause la spiegazione di fatti ritenuti a torto fuori della normalità.
A favore dell'interpretazione stretta sta il fatto che il DESQ non
assimila questa credulità all'immaginazione, come al punto 14. Inoltre,
la sintassi delle parole lascia intendere che la credulità sia proprio
quella che spinge le persone a ritenersi oggetto di malefici e la
conseguenza non detta sarebbe che i malefici sono solo una falsa
credenza popolare: in ogni caso si dovrebbe evitare l'esorcismo.
Potrebbe succedere, tuttavia che il fedele, a prescindere dall'esistenza
o meno delle maledizioni, con la normale attività di discernimento
dell'esorcista, risulti ossesso. Ovviamente in tal caso si potrebbe
procedere all'esorcismo. La presunta maledizione, magia, maleficio non
sarebbero in tal caso per nulla indicativi né costituirebbero
impedimento all'esorcismo e l'importante sarebbe dimostrare la presenza
della possessione senza tener conto delle cause addotte dal fedele.
La seconda interpretazione, invece, può trovare sostegno nel fatto che
la dottrina cattolica comprende il divieto (e quindi anche l'esistenza)
delle « pratiche di magia e di stregoneria con le quali si pretende di
sottomettere le potenze occulte per porle al proprio servizio ed
ottenere un potere soprannaturale sul prossimo, fosse anche per
procurargli la salute (...). Tali pratiche sono ancor più da condannare
quando si accompagnano ad una intenzione di nuocere ad altri o quando in
esse si ricorre all'intervento dei demoni ».46 La nuova edizione del
DESQ 2004, sostituisce al n. 15 ab illa credubitate con a falsa
opinione, perciò è possibile l'interpretazione per cui bisogna
distinguere il caso di attacco diabolico da quello in cui il fedele
ritiene erroneamente di essere vittima di malefici ecc. Con ciò sono da
escludere l'opinione sbagliata di quella persona in quel determinato
caso, e non i malefici come frutto, in ogni caso, della credulità
popolare.
Di fatto, allora, nel caso in cui un fedele, dopo la disamina dei segni
risultasse posseduto e ciò come conseguenza di un maleficio, l'esorcista
potrebbe, con buona coscienza intraprendere un esorcismo.
Una nuova distinzione del DESQ n. 16 è costituita dalla semplice
tentazione diabolica: una volta inquadrata come tale, sono sufficienti
preghiere appropriate fatte da un sacerdote non esorcista o da un
semplice diacono.
Il DESQ n. 16, come si è già anticipato, termina con una prescrizione
negativa: « L'esorcista non proceda alla celebrazione dell'esorcismo
nella forma imperativa, se non è moralmente certo che la persona da
esorcizzare è veramente posseduta dal demonio » e aggiunge che « per
quanto possibile, non proceda senza il suo consenso ».
Il consenso è fondamentale, ma non necessario: a volte non è possibile
rimettersi al consenso dell'esorcizzando perché lo stato di possessione
può causare una totale incapacità ad esprimerlo (stato di trance) o una
repulsione tale al sacro (Sacramenti, sacramentali ed anche al
sacerdote) da rendere la persona non libera interiormente al punto da
non riuscire o volere chiedere l'esorcismo. Tuttavia, come si è mostrato
sopra al Capitolo I, la libertà della persona è impedita, bloccata,
cioè non libera di attingere alla fonte di grazia che promana dai
Sacramenti. La persona, che inizialmente è esorcizzata pur senza il suo
consenso, si troverà in uno stato nuovo, di maggior libertà e
padronanza, ma non immediatamente affrancata dall'aggressione infernale:
il nuovo stato di libertà diventa lo spazio utile per dirigere la
propria volontà verso gli strumenti di salvezza della Chiesa per poter
collaborare alla propria liberazione, donando la volontà di conversione
profonda a Cristo.
A questo punto il n. 16 del DESQ fornisce i segni per la diagnosi di una
possessione. Tali segni, dice il Rituale, provengono da una prassi
consolidata, la fonte quindi è l'esperienza plurisecolare della Chiesa. I
segni sono:
Parlare o comprendere lingue ignote.
Rivelare cose occulte e lontane.
Mostrare forze superiori per condizione ed età.
Il valore di tali segni, è detto espressamente, è indiziario, perciò
bisogna ricorrere ad altri segni soprattutto d'origine morale e
spirituale e possono essere: forte avversione a Dio, Gesù, Maria, Santi,
Parola di Dio, realtà sacre, soprattutto ai Sacramenti, immagini sacre.
In una sola espressione si tratta di “avversione al sacro”.
E importante prestare attenzione al rapporto tra questi segni con la
fede e l'impegno spirituale nella vita cristiana, in quanto il Maligno è
nemico di Dio e dei mezzi divini di salvezza.
Il n. 17 del DESQ prescrive, per ogni caso sospetto di possessione
diabolica, che l'esorcista, per quanto possibile, consulti prima persone
esperte in questioni di vita spirituale e, se necessario, persone
esperte in medicina e psichiatria, competenti nelle realtà spirituali.
Solo allora, con prudenza, dopo attento esame può concludere sulla
necessità di ricorrere all'esorcismo.
E un nuovo invito alla prudenza ed alla cautela. L'esorcista dovrebbe
sempre consultarsi con esperti. Essi sono di due tipi: esperti di vita
spirituale (solo nella misura della possibilità), esperti in medicina e
psichiatria con competenza nelle realtà spirituali (solo se necessario).
L'esorcista dovrebbe poter lavorare in équipe con esperti in vita
spirituale, tuttavia ci sembra che il suo ricorso continuo comporti una
competenza specifica anche nelle realtà della possessione, ed in genere
questi sono esorcisti. Potrebbe configurarsi, invece un rapporto del
tipo “operatore” e “supervisore”, che mantenendo il distacco necessario
funga da riferimento meno coinvolto e quindi più oggettivo.
Ci sembra che il riferimento più sicuro sia un sacerdote che da tempo pratichi esorcismi o li abbia esrcitati a lungo.
Un suggerimento in tal senso viene indirettamente dal DESQ n. 18: in «
casi particolarmente difficili si ricorra al Vescovo della Diocesi, il
quale per prudenza potrà richiedere il parere di alcuni esperti prima di
decidere se fare l'esorcismo ».
Si può affermare, pertanto, che gli esperti di spiritualità, di cui
parla il DESQ n. 16, siano i vescovi e gli stessi esorcisti con provata
esperienza.
Per quanto riguarda gli esperti in scienze mediche e psichiatriche, il
Rituale indica la necessaria competenza in campo spirituale. Non basta
quindi la competenza professionale specifica, ma il perito deve
conoscere non solo la fede, ma anche le dinamiche spirituali nell'ottica
antropologica e religiosa cattolica, distinguendo inoltre ciò che
attiene al dato psicologico‑psichiatrico da quello spirituale.
Tale requisito sembra postulabile dal fatto che specie in campo
psichiatrico vigono principi che non possono accettare il fenomeno
stesso della possessione diabolica. Uno dei fondamenti di alcune aree
scientifiche e culturali è il relativismo interpretativo, per cui sono
possibili diverse letture metaforiche dello stesso fenomeno; oltre a
quello, anche il relativismo psichiatrico rende incompatibile
l'approccio di collaborazione e complementarità. Tale principio
asserisce che « nessun comportamento può essere giudicato anormale
finché è accettato dalla società nel quale avviene »;47 il posseduto è
in una situazione negativa, patologica, solo perché la società cui
appartiene lo ritiene negativo (es. cultura cattolica), ma non
costituisce un problema, né può essere considerata negativa in un'altra
dove la possessione costituisce un atto di integrazione sociale
(sciamanesimo, pratiche voodoo).
La necessità della competenza nelle realtà spirituali richiede quindi
conoscenze specifiche del medico e dello psichiatra in quanto sono
chiamati a dare un parere che fornisca informazioni sull'esistenza o
meno di patologie. L'esorcista è chiamato a dare un giudizio morale
certo sull'eventuale possessione diabolica. Essa può essere solo un caso
di falsa possessione, ma può trattarsi anche, ed il caso non è
infrequente, di una patologia che si accompagna alla possessione, oppure
di vere patologie il cui agente scatenante è l'entità spirituale
diabolica.
In sintesi, il primo elemento che emerge dall'insieme della normativa
liturgica del nuovo Rituale è l'insistenza alla cautela nel procedere
alla celebrazione dell'esorcismo, inteso come forma imperativa, come
extrema ratio nei casi in cui, dopo aver espletato diversi tipi di
indagine, l'esorcista giunga alla conclusione moralmente certa della
vera possessione diabolica.
Nei quattro punti esaminati (DESQ nn. 14‑17) sono sette le volte in cui si torna al concetto di cautela.48
Questo richiamo insistente alla cautela non è giustificato se non dalla
preoccupazione di considerare erroneamente, come interventi demoniaci,
cause che sono invece da riferirsi alla credulità, all'immaginazione,
alla patologia medica o psichiatrica. È facile pensare come il progresso
delle scienze umane abbia in modo notevole ridotto le spiegazioni
diaboliche di molti fenomeni, ma non è del tutto estraneo alle
preoccupazioni riscontrabili nel DESQ il clima culturale degli ultimi
decenni in cui il “demoniaco” ha fatto irruzione prepotente creando una
temperie culturale meno serena per poter affrontare in modo ordinato,
con i mezzi della teologia spirituale, dei Sacramenti e dei
sacramentali, i problemi che da sempre il Maligno pone ai figli di Dio.
La Lettera della Congregazione della Fede del 1985 è un segnale chiaro
di un fenomeno che rischia di polarizzarsi su due estremismi: da una
parte il progresso scientifico–tecnologico, che non sembra rinunciare a
delimitare il campo della fede nelle esigenze dell'irrazionalità e della
pura soggettività, dall'altro la superstizione e il gusto per
l'esoterismo e la magia fino al satanismo, il quale ha sorprendentemente
ritrovato nuove linfe nutritive. Questi fatti hanno causato una
ricerca, nei fedeli, di strumenti tradizionali della preghiera, ma senza
dubbio in una società cambiata, frammentata, multi‑etnica e
multi‑culturale. La paura, l'ignoranza religiosa e l'irrazionalità
spingono i singoli, ed a volte i gruppi, a cercare spiegazioni e
soluzioni per lo più presso “agenzie del sacro” improvvisate, e sovente
inficiate da esoterismo e magia. Non sorprende che quando l'approdo
avviene presso la Chiesa, lo stesso atteggiamento sia rivolto verso il
sacerdote, cui si guarda come a colui che, come lo sciamano, il mago, il
cartomante, può dare la soluzione al proprio problema a buon mercato,
cioè senza toccare la necessità dell'impegno alla conversione profonda a
Cristo. Pensiamo che in tal senso possa essere spiegato ciò che lo
stesso Rituale afferma: « L'esorcismo si svolga in modo che manifesti la
fede della Chiesa e impedisca di essere interpretato come atto di magia
o di superstizione ».
2. La questione dei malefici.
Nella prima edizione tipica del nuovo Rituale (DESQ 1999) al n. 15 troviamo scritto:
“Recte distinguat casus impetus diaboli ab illa credulitate qua quidam,
etiam fideles, putant se esse obiectum maleficii, malae sortis vel
maledictionis, quae sint ab aliis allata super ipsos vel propinquos vel
bona eorum.”
Il testo si può tradurre con: [L’esorcista] distingua giustamente il
caso di attacco del diavolo da quella credulità per la quale alcuni,
anche fedeli, giudicano di essere oggetto di maleficio, di sfortuna o di
maledizioni, che sarebbero gettate su di loro o i parenti o i loro
beni.”
Questa frase diede luogo all’interpretazione che escludevano l’esistenza
dei malefici e delle maledizioni, in quanto tale. A fianco ad essa
rimaneva quella tradizionale che non nega l’esistenza di tali attività,
che gli esorcisti conoscono assai bene, per cui ciò che bisognava
distinguere è la credulità che in modo acritico fa pensare alla gente
che ogni difficoltà od evento si da imputare a malefici ecc. Questo
tipo di credenza superficiale fa ricorrere immediatamente all’esorcista
per scongiurare la maledizione a prescindere dall’analisi se il
maleficio sia stato fatto o meno.
L’espressione ab illa credulitatei, in effetti, dà adito all’opinione
che il malefici ecc. siano frutto di credulità, ovvero di una
propensione troppo facile e ingiustificata a credere a tali cose.
Il soccorso è venuto dall’edizione tipica del 2004 del DESQ, nella quale
troviamo sostituita l’espressione ab illa credulitate con a falsa
opinione vale a dire che l’esorcista deve distinguere quando vi sia un
attacco del demonio dal caso della opinione sbagliata che la persona può
avere ritenendo di essere vittima di un maleficio, mentre non lo è: in
tal caso, prosegue il Rituale, non bisogna fare l’esorcismo. Infatti
sarebbe un uso improprio di tale preghiera, con l’effetto di
accontentare la persona, ma anche di mantenerla nella mentalità
superstiziosa e lontana da un vero cammino di fede.
3. L’esorcismo di Leone XIII
Nella I Appendice, Supplicatio et exorcismus qui adhiberi potest in
peculiaribus adiunctis ecclesiæ, “Supplica ed esorcismo che può essere
usato in particolari circostanze della Chiesa”, viene riproposto
l'esorcismo di Leone XIII, presente nel III capitolo del Titolo
riguardante gli esorcismi del RR, e che era intitolato Exorcismus in
Satanam et Angelos apostaticos, ovvero “Esorcismo contro Satana a gli
angeli apostatici”.
A proposito di questo esorcismo, composto da Leone XIII, un autore
(Dondelinger‑Mandy) afferma che esso andò a sostituire gli antichi
esorcismi contro le tempeste. Nel XIX secolo, scrive l'autore, il
diavolo non nuoce più nelle tempeste ma con l'apostasia atea,
l'anticlericalismo e le sette sataniche (la massoneria), e sono queste
ad essere combattute con l'esorcismo. Non ci sembra possibile ravvisare
una sostituzione: il precedente RR conteneva al Titolus X, cap. 8 una
processione contro i temporali, mentre erano già scomparsi gli antichi
esorcismi contro le tempeste. Quello di Leone XIII non è una
sostituzione, ma un'aggiunta che trova la sua motivazione probabile
contro idee, movimenti e associazioni dichiaratamente avverse alla
Chiesa.
Il precedente Rituale Romanum, alla rubrica, chiariva chi poteva
recitarlo, ossia i Vescovi e quei sacerdoti autorizzati da loro, ma non
si preoccupava di informare circa la destinazione di questa preghiera.
Il DESQ invece ha cura di specificare l'uso a cui è adibito:
« La presenza del Diavolo e di altri demoni si manifesta e si
concretizza non solo nel caso di persone tentate o possedute, ma anche
quando cose e luoghi sono fatti in qualche modo oggetto dell'azione
diabolica, come pure nelle varie forme di avversione e persecuzione nei
confronti della Chiesa. Se, in particolari circostanze, il Vescovo della
diocesi ritiene opportuno convocare i fedeli per pregare sotto la guida
del sacerdote, si potranno utilizzare a tale scopo elementi da
scegliere tra quelli qui proposti » (DESQ, Appendice I, n. 1).
Dopo questa rubrica seguono le istruzioni per condurre il rito con
l'assemblea di fedeli. Il testo del n. 1 sopra citato indica due modi di
azione diabolica: oltre a quello sulle persone, cioè la possessione di
cui si occupa prevalentemente il DESQ, il demonio può agire su cose e
luoghi; inoltre è possibile ravvisare la sua azione nelle varie forme di
avversione e persecuzione contro la Chiesa.
Il rito che segue ci sembra adatto per questa seconda ipotesi, in cui la
collettività, i fedeli di una diocesi, sono chiamati a pregare in
questo modo speciale se il Vescovo lo ritiene opportuno: si tratta di un
pericolo che deve allora riguardare la comunità dei fedeli e che sia
percepibile come tale da essi.
Diverso, invece è il caso dell'azione demoniaca in un luogo o in un
oggetto: a meno che questo non abbiano una valenza comunitaria, non ci
sembra opportuno ad esempio convocare l'assemblea per ordine del Vescovo
perché una casa, o un oggetto, mostra di essere bisognoso di esorcismo.
In tal caso gli elementi dell'Appendice I possono essere utilizzabili
nella forma consueta dell'esorcismo sugli ossessi: il sacerdote
incaricato, ed il fedele interessato insieme a poche persone, in modo
riservato procedono alla benedizione del luogo o della cosa interessata.
Questo esorcismo è importante per tutti quei casi che sono chiamati
infestazioni e che, con certezza morale, possono attribuirsi
direttamente all'azione del diavolo. Spesso le persone possedute,
riscontrano problemi anche nei luoghi in cui vivono e lavorano, specie
quando si tratta di un maleficio. Il maleficio, infatti, ha lo scopo di
colpire le persone attraverso gli oggetti, quelli più adatti risultano
le cose o i luoghi dove la permanenza o il contatto siano più
prolungati.
Riteniamo quindi che le preghiere ed esorcismi dell'Appendice I siano
utilizzabili in un doppio contesto: quello del pericolo generico contro
la Chiesa e deve essere fatto, se il Vescovo lo ritenga opportuno, in
forma assembleare; quello delle infestazioni di luoghi e cose, che per
sua natura richiede la riservatezza analoga all'esorcismo sugli ossessi.
Il CCC al n. 1673, dando la definizione di esorcismo, fa riferimento,
oltre alle persone, anche alle cose.
Nel Benedizionale vigente sono però stati tolti tutti gli esorcismi. Il
caso delle infestazioni diaboliche, ossia l'azione del demonio sulle
cose e i luoghi, pone la necessità di un rimedio adeguato, che lo stesso
Catechismo della Chiesa cattolica indica. Questa lacuna sembra essere
stata colmata dal DESQ con la doppia destinazione dell'esorcismo detto
di Leone XIII.
4. Le preghiere ad uso privato dei fedeli
Nella Appendice II compaiono le “Suppliche che possono essere usate
privatamente dai fedeli nella lotta contro le potenze delle tenebre”.
Bisogna notare che l’impostazione è personale: tutte le preghiere sono a
favore dell’orante stesso e non per un’atra persona. Quindi vanno
intese come preghiere che ogni fedele può usare quando è personalmente
attaccato dal maligno, ma non per terze persone. Le preghiere possono
essere fatte anche in più persone, ma sempre per un beneficio richiesto
per se stesse.( Es. Ora pro nobis vel me).
B. PREGHIERA DI LIBERAZIONE.
1. Liberare da chi, e da che cosa.
Liberazione anzitutto fa riferimento ad una situazione di prigionia, uno
stato di mancanza di libertà, di impedimento alla libertà.
Per i fedeli la libertà è quella che ci consente di “servire Dio in
santità e giustizia per tutti i nostri giorni”. Vi è dunque un
riferimento al servizio di Dio per compiere la sua volontà ed attuare il
suo Regno in noi e in mezzo a noi.
Il Regno in noi realizza uno stato di vicinanza stabile ed intimo di
Dio, che noi chiamiamo comunione, perché otteniamo dei beni spirituali
tali da realizzare una trasformazione progressiva in figli di Dio. Dio
Padre ci dona la comunione con lui e ci santifica ovvero ci rende sempre
più simili a lui e più uniti a lui. Tale unione si realizza mediante i
Sacramenti e con l’esercizio delle virtù teologali portate a maggior
perfezione durante la vita terrena.
Sappiamo che tale libertà dei figli di Dio è stata minata nelle sue
fondamenta dal Satana con l’introduzione del peccato nella coppia dei
progenitori. Da quel momento, tutta l’umanità e la creazione rimasero
sotto la schiavitù del peccato. La conseguenza teologica del peccato è
la separazione da Dio e la perdita di tutti i beni spirituali fino a
culminare con la morte eterna, ossia la separazione da Dio senza rimedio
per sempre.
Questo è l’obiettivo ultimo del demonio sui singoli uomini e sulle
masse. Tutta la sua attività dopo il peccato dei progenitori fu rivolto a
mantenere l’uomo distante da Dio. Il suo tentativo fu ed è sempre
quello di impedire che l’uomo veda il volto del Padre e torni a lui. A
Satana che significa nel nome “ostacolo, impedimento”, occorre che il
volto del Padre sia deformato e odiato, far rigettare su di lui la causa
del male che l’umanità sperimenta e rendere colpevole l’uomo di
bestemmia e odio contro il Creatore.
Chi rivela il volto del Padre è Gesù Cristo, egli è colui che compie la
volontà del Padre e mediante l’obbedienza perfetta realizza la comunione
con lui anche come uomo. Per mezzo del suo sacrificio santo ed
immacolato redime, vale a dire paga il riscatto del potere che Satana ha
sull’uomo e lo libera dalla schiavitù del peccato e dunque dal potere
nefasto del demonio. Gesù con la comunione del suo sangue, ci rende
figli adottivi ed eredi del Regno, con una caparra già qui sulla terra.
Se Gesù è allora il salvatore, il liberatore delle nostre povere anime
prigioniere, è chiaro che l’ostacolo, il satana, cerchi di oscurare la
Via salvifica che è il Cristo, nella ragione e nella esperienza degli
uomini. Egli cerca di allettarli al peccato per privarli della grazia
redentrice, si oppone con tutti i mezzi alla via di grazia che deriva
dal battesimo e dagli altri sacramenti. A questo scopo usa tutti i
mezzi, culturali, psicologici e spirituali per impedire che gli uomini
attingano alla fonte che li può rendere liberi.
2. Chi è tenuto prigioniero e chi può essere liberato
Il prigioniero è colui che vive schiavo del peccato. Solo chi cerca di
liberarsi o mantenersi libero sa quale forza possiede il peccato, in
particolare quello abituale, che si connatura fino a divenire vizio. La
prima esperienza di liberazione si ha quando si prende seriamente in
considerazione la grazia che viene dal battesimo e si ottiene con la
sinergia della nostra volontà uno stato di libertà. Esso richiede poi
continua vigilanza e preghiera per avere da Dio gli aiuti necessari a
rimanere nella sua comunione durante la vita terrena. Si realizza quel
combattimento spirituale che, da S.Paolo in poi, i mistici hanno
insegnato ad intere generazioni di cristiani.
Il peccato ed il vizio sono dunque la porta attraverso la quale il
nemico “l’omicida fin dal principio” entra nell’intimo della persona e
lo mette in uno stato di sudditanza per un potere di conquista
acquisito. Anziché la vicinanza con Dio si ha quella del demonio, al
posto delle sante ispirazioni si hanno i cattivi pensieri, l’odio,
l’invidia, le passioni e le depravazioni. L’anima ormai privata della
luce vive nelle tenebre, offuscata ed ingannata verso falsi beni, e poi
indotta sempre più al vizio ed innamorata del peccato, che l’attrae e la
disgusta al tempo stesso. L’assuefazione la rende poi progressivamente
sempre più insensibile ai richiami dolorosi della grazia. Ormai la
persona così ridotta vive nell’illusione di una autonomia da Dio e
secondo la propria ragione e il proprio volere.
3. Varie forme e gradi di prigionia
Il demonio spinge tutti al peccato; tenta ogni uomo per trovare il suo
punto debole per farlo cedere e invischiarlo così in modo progressivo in
peccati sempre più gravi. Quanto più una persona pecca gravemente,
tanto più gli aiuti della grazia sono difficili da vedere e desiderare.
Il peccato che rimane a lungo ed è ripetuto, radica nell’anima umana un
potere oggettivo di Satana, il quale non ha da fare altro che mantenere
la sua vittima in tale decadimento fino a farlo morire in stato di
peccato grave. Potendolo controllare durante la vita terrena, tale
persona diventa comunque un suo strumento a seconda della sua unione con
il demonio e della sua lontananza da Dio.
Questa linea di condotta del nemico si chiama ordinaria, cioè è il modo
più diffuso con cui agisce sulle persone. Il fatto che sia ordinaria non
deve far confondere con l’opinione di un risultato mediocre: il mondo
contemporaneo mostra come ordinariamente la gente viva lontano d a Dio e
succube del demonio.
Il nemico dell’uomo agisce però anche in modo “straordinario”, in altre
parole con mezzi non comuni contro l’uomo. Le persone allora possono
essere attaccate con una veemenza assai forte a livelli diversi.
Possiamo immaginare l’essere dell’uomo composto a strati. Un livello
materiale, uno psichico e morale ed uno spirituale. L’azione demoniaca
svolge attacchi nelle tre dimensioni, sapendo bene che non sono affatto
disgiunte, ma ogni azione ha comunque una ripercussione a livello
profondo, cioè quello spirituale. Quanto più si fa insistente il
martellare dei suoi colpi, tanto più l’anima può risentirne ed arrivare
per disperazione, per debolezza o per stanchezza a cedere alla
disperazione, ed alla mancanza di fiducia in Dio. Quando il nemico
riesce ad intaccare queste zone teologali della fede, speranza e carità,
allora la sua vittoria è vicina, perché riesce così ad indurre l’anima
in grazia a cedere al peccato. A questo punto, quando vi è il cedimento
col peccato, la sua azione diventa devastante e l’anima viene ferita e
indotta a peccare più gravemente: le conseguenze sono a tutti i livelli,
materiale, morale e spirituale. Dall’esterno si può notare un
cambiamento della vita, del comportamento, delle scelte morali, un
raffreddamento generale della carità: la persona può diventare
irriconoscibile agli stessi famigliari. Il controllo del demonio sulla
persona può aumentare arrivando a conseguenze sempre più estreme. Per
questo motivo parliamo di gradualità del suo intervento. La gradualità è
importante perché i mezzi di risoluzione della Chiesa sono diversi.
Distinguiamo l’azione demoniaca allora non per la sua finalità generale,
quanto per il suo livello d’intervento per quell’anima particolare. Il
nemico dell’uomo può agire a livello locale, quando infesta luoghi:
abitazioni, ambienti di lavoro ecc. con varie manifestazioni, rumori,
passi, colpi, movimenti di oggetti, tracce inspiegabili, infestazioni di
animali, generalmente insetti o vermi, macchie su muri o mobili ecc. Si
tratta di infestazioni locali, ma non bisogna dimenticare che
l’obiettivo sono sempre gli uomini. Queste infestazioni possono essere
solo il riflesso di un attacco ancora superficiale sulle persone, ma
anche accompagnarsi a danni più gravi già inferti sugli abitanti o
qualcuno di essi.
Gli attacchi posso essere portati direttamente sul corpo delle persone:
sono le vessazioni. Le persone avvertono colpi, percosse, spinte per
farli cadere o ruzzolare per le scale. Possono comparire tagli graffi,
punture come di insetti simili a serpenti o scorpioni, i colpi possono
oltre che essere sentiti, resi visibili per i lividi e gli arrossamenti
che improvvisi compaiono anche davanti agli occhi di terzi. I danni
sulle persone possono essere davvero tanti, da gonfiamenti improvvisi di
stomaco e ventre, senso di soffocamento fino a far diventare paonazzo
il volto, quasi che una mano stesse artigliando la gola ecc. fino ad
arrivare a malattie anche gravi. L’inspiegabilità dei fenomeni e spesso
l’insensibilità al trattamento medico sono causa nella stragrande
maggioranza dei casi di uno stato di sfinimento spirituale e morale fino
ad arrivare alla disperazione.
Questo risultato spirituale viene perseguito con tenacia dal demonio
quando attacca nei pensieri le persone: si tratta di vessazione nel
pensiero, o come preferiscono definirle un gran numero di esorcisti, di
ossessioni. L’ossessione così intesa è caratterizzata da un ritorno
martellante di pensieri che inducono al peccato. Spesso persone abituate
a vivere diligentemente nella grazia con frequenza assidua ai
sacramenti si ritrovano con pulsioni così forti al peccato che in realtà
non vogliono commettere, ma che si presentano con una forza così grande
da far pensare di non potere vincere (sono le tentazioni straordinarie,
non per la stranezza quanto per l’impeto e la continuità ossessiva con
le quali si presentano). I pensieri più gravi che purtroppo si
presentano sono quelli di omicidio e di suicidio. Sono talmente forti
che la persona è indotta a pensare che solo con l’acconsentimento alla
pressione potrà trovare sollievo. Non si tratta dunque di un gusto di
quel peccato quanto la spinta straordinaria a commetterlo nell’illusione
disperata di trovare pace.
Un grado più estremo viene detta possessione demoniaca. Si tratta di
azione che è arrivata più in profondità nella persona. L’anima è ancor
più circondata, assediata, e il livello corporeo-psichico può essere
tenuto completamente sotto controllo da demonio che allora agisce con le
facoltà di quella persona, facendola muovere e parlare a suo piacimento
senza che la persona acconsenta minimamente a ciò. E’ importante
ribadirlo, perché spesso si confonde la persona posseduta con la persona
malvagia che si è fatta volontariamente strumento di Satana. Il
posseduto è invece colui che con delle responsabilità remote o meno
subisce questo attacco, ma non per questo ha consegnato la sua libertà
ed il suo deliberato consenso.
Questa situazione terribile si verifica a tratti durante uno stato
particolare nel quale alla personalità si sovrappone quella del demonio.
La persona allora si dice “in stato di possessione” o di trance. Questa
situazione può essere breve o lunga, ma è caratterizzata
dall’intermittenza con uno stato di normalità relativa. Diciamo relativa
perché in genere le persone sono sempre sottoposte agli altri gradi di
attacco inferiori o più esterni che abbiamo menzionato sopra.
Purtroppo a questo stato intermittente può accadere di arrivare ad una
cadenza sempre maggiore, fino a quando lo stato di possessione è
stabile. L’esempio evangelico più illuminante è quello dell’indemoniato
di Gerasa descritto in Luca (Lc 8,26‑39; cf Mt 8,28‑34; Mc 5,1.20).
Non si può definire posseduto, la persona che deliberatamente si dà al
maligno, con patto esplicito o implicito, in ogni modo facendosi
volontariamente strumento e collaboratore di male. Per queste persone
non si può parlare di assedio dell’anima, perché il centro della
volontà, dove si decide per il bene e per il male è un tutto col
demonio.
4. Preghiera di liberazione
I mezzi per contrastare tali azioni demoniache sono quelli che il
Liberatore per eccellenza ci ha offerto. Gesù Cristo, portando i nostri
peccati, ci salva anche dal dominio del peccato, e attraverso di esso
dal potere del demonio. Il fatto di essere battezzati e redenti, non ci
toglie dallo stato di debolezza spirituale e morale, perciò il percorso
della vita spirituale ci impegna seriamente a ricorrere ai Sacramenti
della Chiesa. Per mezzo dei Sacramenti dell’Iniziazione cristiana “gli
uomini, uniti con Cristo nella sua morte, nella sua sepoltura e
risurrezione, vengono liberati dal potere delle tenebre” (Rito del
battesimo dei bambini, n. 1; Rito dell’iniziazione cristiana degli
adulti [RICA], n.1). Il Rito del Battesimo dei bambini prevede un
esorcismo prebattesimale dove si chiede a Dio che ha mandato nel mondo
il suo Figlio “per distruggere il potere di satana, spirito del male”
di liberare quel bambino dal peccato originale e di “liberarlo dal
potere delle tenebre” ( Ivi nn. 56,57. Cf RICA, n. 255)) Il Sacramento
della riconciliazione, quando ben vissuto, chiude di volta in volta
quelle aperture, fossero anche fessure attraverso cui il fumo di Satana
può entrare. Questo vale come prevenzione agli attacchi straordinari, ma
è fondamentale anche per la cura o liberazione: non ci può essere vera
liberazione dal demonio se nell’anima rimane l’affezione al peccato o
addirittura il consentimento ad esso. Questa cattiva inclinazione ci
rende vulnerabili, perché il nemico ha una “testa di ponte” in noi,
quasi dei complici. Per cui l’ambiguità è spesso la causa del perdurare
nel tempo delle vessazioni demoniache e oltre. La preghiera personale,
assidua e fatta con fede in preparazione e come conseguenza del
Sacramento dell’Eucarestia unendoci a Dio mediante Cristo ci difende e
ci libera “Sottomettetevi a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà
da voi fuggirà da voi, avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi”
(Gc 4,7-8). La S. Messa, in se stessa è il Ringraziamento al Padre per
il dono del Sacrificio del Figlio che ci ha liberati con la sua passione
e morte, che viene riattualizzata nella Messa stessa. L’atto
penitenziale al suo inizio non fa che celebrare la nostra volontà di
essere perdonati in Cristo, e preparati per il nutrimento spirituale che
ci rende forti in lui perché uniti a lui, innestati come tralci alla
vite. Questa ricchezza spirituale da cui scaturisce il battesimo viene
in modo chiaro celebrato liturgicamente nella S. Messa della notte di
Pasqua, dove vengono riaffermate le rinunce battesimali e la scelta per
Dio col simbolo di fede, il Credo. In quanto preghiera cristiana per
eccellenza inserita nella liturgia fondamentale dell’Eucarestia, la
richiesta di liberazione dal Maligno è ciò che noi dobbiamo fare rivolti
al Padre, essa viene esaudita per mezzo del Figlio principalmente nel
mistero eucaristico, che ci dona lo Spirito. L’embolismo del celebrante,
alla preghiera dominicale, enfatizza la domanda di liberazione:
“Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni e
con l’aiuto della Tua misericordia vivremo sempre libera dal peccato e
sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza e
venga il nostro salvatore Gesù Cristo.” (Cf. Messale Romano; CCC 2854).
Tra le preghiere non si possono dimenticare i Salmi, alcuni dei quali
specificamente chiedono la liberazione dal nemico persecutore come il 3,
10, 12, 21, 30, 34, 67, 90, ma la recita stessa della Liturgia delle
Ore, non ultimo il S. Rosario, meditato, come affidamento delle nostre
necessità, le tribolazioni alla Madonna, colei che fu prefigurata in Gn
3,14 e che percorre tutta la storia dell’umanità come Immacolata
vincitrice sul tentatore, rimane per la Chiesa la Donna vestita di sole
che fino alla battaglia finale aiuta e conduce le schiere degli eletti
nella lotta contro il drago (Cf Ap 12).
In una parola, la vita del cristiano è lotta contro il maligno con i
mezzi della salvezza donati da Cristo alla sua Chiesa: dal battesimo in
poi tutto concorre alla liberazione. Quanto più ricorriamo alla grazia
tanto più il nemico infernale, già sconfitto da Cristo, viene sconfitto
anche da noi in quanto uniti misticamente al liberatore.
Il nuovo Rituale (DESQ 1999,2004) nella Appendice II, offre una serie di
suppliche e preghiere che i fedeli singolarmente o il gruppo possono
adoperare quando sono personalmente attaccati dal demonio. Nelle
preghiere non compare l’evenienza di pregare per qualche altra persona,
ma il fedele o i fedeli pregano per se stessi. Si presume che l’attacco
dal demonio sia quello ordinario e dunque i fedeli siano in grado di
pregare da soli o in gruppo, ma non siano bisognosi di un intervento di
liberazione o di esorcismo, ossia di qualcuno che preghi per altri. In
tal caso si verificherebbe la situazione o dell’esorcismo o della
preghiera di liberazione regolate in modo diverso. ( Es. Ora pro nobis
vel me).
5. Preghiera di liberazione ed esorcismo
Parlare di preghiera di liberazione obbliga ad affrontare la preghiera
di esorcismo, perché l’oggetto al riguardo è lo stesso: il diavolo che
in modo straordinario attacca la persona. Quello che cambia è solo il
grado di profondità della portata offensiva satanica. Col grado maggiore
aumentano le manifestazioni della presenza malefica che si
caratterizzano principalmente con lo stato di possessione. Nello stato
di trance il demonio può manifestarsi direttamente parlando per bocca
del posseduto, ed i fenomeni straordinari possono aumentare. Per questi
casi che sono detti di possessione diabolica, è previsto l’esorcismo,
che deve essere fatto con l’apposito Rito (DESQ 2004). Il rituale
presenta una serie di preghiere deprecatorie, in cui non è usata la
formula imperativa diretta contro il diavolo, ma si ricorre
all’intercessione della B.V. Maria e dei Santi. Poiché tali preghiere
possono essere usate anche nei casi di non possessione, mentre quelle
imperative solo nei casi certi di possessione, qualcuno deduce che
quelle siano preghiere di liberazione che tutti i sacerdoti possono
usare, e sono identificate come “preghiere di liberazione” svincolabili
dal Rito del Grande Esorcismo e dunque utilizzabili in ogni caso
occorresse intervenire su persone vessate, ma non possedute dal demonio.
In realtà sembra che lo spirito con cui è stato redatto il Rituale
consideri entrambe le categorie di preghiere come facenti parte di un
unico rito e non disgiungibili fuori del rito stesso, anche se le
preghiere deprecatorie possono essere fatte senza aggiungere quelle
imperative, il contesto in cui sono fatte è sempre quello
dell’esorcismo, quello cioè in cui si procede a tal scopo.
28. “Denique dicit formulam deprecativam, qua Deus rogatur, necnon
formulam imperativam, qua diabolus, in nomine Christi, directe
adiuratur, ut a vexato recedat. Formula imperativa ne utatur nisi
præmissa formula deprecativa. Formula vero deprecativa etiam sine
imperativa adhiberi potest.” (DESQ).
L’esperienza degli esorcisti è comune nel constatare che una possessione
non sempre si manifesta immediatamente: procedendo con le preghiere,
quella che poteva sembrare solo vessazione od ossessione col tempo si
può rivelare come una possessione anche grave, anzi più l’azione
demoniaca è radicata nella profondità, più riesce a celarsi per impedire
di essere portata alla luce.
Questo fatto spiega anche la contiguità che c’è tra liberazione ed esorcismo.
Se è chiaro che la preghiera di liberazione non è una preghiera
specifica per casi peculiari, ma è la preghiera ordinaria del cammino
cristiano, occorre allora riconoscere che i casi di vessazione (non
possessione) appartengono ad un intervento straordinario del demonio,
non diverso da quello ordinario, ma più forte e più feroce. Più che
preghiere specifiche, occorre invece intensificare la vita spirituale,
mediante i mezzi ordinari (Sacramenti), con l’aggiunta di intenzioni
specifiche nel pregare e di benedizioni e preghiere fatte da sacerdoti,
meglio ancora se uniti a gruppi di fedeli che generosamente intercedono e
si sacrificano per questi fratelli. Se si guarda il Rito di esorcismo
(DESQ 2004), prima di iniziare l’esorcismo vero e proprio che comprende
sia le preghiere deprecatorie che imperative.
Le preghiere per la liberazione presentano:
•l’aspersione con acqua benedetta
•litanie dei Santi
•salmi
•Imposizione delle mani del sacerdote per invocare lo Spirito Santo
•Recita del Simbolo, promesse battesimali e rinuncia a Satana
•Recita del Padre Nostro
•Il sacerdote mostra la croce e traccia sul fedele tormentato il segno della croce.
Queste preghiere sono proprie del cristiano, ed a parte l’imposizione
delle mani del sacerdote, ogni cristiano può recitarle per sé e per
altri
C. MESSE E PREGHIERE COMUNITARIE DI LIBERAZIONE
1. Messe di Liberazione?
La Chiesa non contempla nella liturgia preghiere specifiche di
liberazione, possiede invece riti e preghiere per la guarigione dalla
malattia: santa Messa, benedizione dei malati, unzione degli infermi.
Per l’esorcismo esiste l’apposito rituale, nella Edizione Tipica del
2004. Pur avendo nei primissimi rituali che precedettero quello del 1614
al titolo sull’esorcismo anche delle messe specifiche a favore degli
esorcizzandi posseduti, tuttavia la Chiesa non ha ritenuti di
mantenerli.
Considerando la liturgia a prima vista potremmo pensare che esista una
lacuna per un settore di persone che hanno bisogno della liberazione dal
maligno che non sono gli ammalati e non sono i posseduti. Così
impostate le considerazioni a riguardo rischiano di avviarsi su terreni
non sicuri e contraddittori, con ciò si comprende la proliferazione di
preghiere sorte in ambito devozionale privato volte alla liberazione dal
maligno di persone coinvolte da questo male spirituale.
In realtà il concetto di liberazione dal male inteso come maligno è
presente in modo espresso nella preghiera del Padre Nostro. Il
Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2851, commentandola, insegna che
“In questa richiesta, il Male non è un’astrazione; indica invece una
persona: Satana, il Maligno, l’angelo che si oppone a Dio. Il «diavolo»
[«dia-bolos», colui che «si getta di traverso»] è colui che vuole
ostacolare il Disegno di Dio e la sua opera di salvezza compiuta in
Cristo.”
In quanto preghiera cristiana per eccellenza inserita nella liturgia
fondamentale dell’Eucarestia, la richiesta di liberazione dal Maligno è
ciò che noi dobbiamo fare rivolti al Padre, essa viene esaudita per
mezzo del Figlio principalmente nel mistero eucaristico, che ci dona lo
Spirito. L’embolismo del celebrante, alla preghiera domenicale,
enfatizza la domanda di liberazione:
“Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni e
con l’aiuto della tua misericordia vivremo sempre libera dal peccato e
sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza e
venga il nostro salvatore Gesù Cristo.” (cf. Messale Romano; CCC 2854).
Anche il rito del Battesimo dei bambini e degli adulti presenta un
esorcismo per la liberazione dal maligno. La rinuncia a Satana e la
professione di fede caratterizzano il rito per quanto riguarda
l’intenzione del fedele che deve esprimere con chiarezza e fermezza a
quale area spirituale appartenere: se a quella del tentatore che con
l’inganno ha sedotto l’umanità o a quella di Dio che con il sacrificio
del Figlio liberamente ci chiama alla verità e alla santità.
Altro sacramento di liberazione che è strettamente connesso al Battesimo
è quello della Penitenza o Riconciliazione. In esso il fedele confessa
il peccato che è allontanamento da Dio e adesione al male libera,
volontaria, deliberata. Confessando questo e pronunciando con le parole e
con il cuore l’atto di dolore, il fedele intende ritornare a quel Dio
che lo aveva già liberato con il Battesimo.
A conferma di quanto esposto è sufficiente vedere il rito della Messa
della notte di Pasqua nel quale viene rinnovato e accentuato il doppio
movimento della Grazia di salvezza e della volontà di adesione ad essa
dell’uomo. Basti ricordare il rito del lucernario e la Rinnovazione
delle promesse battesimali fatto in modo solenne: “Rinnoviamo le
promesse del nostro Battesimo, con le quali un giorno abbiamo rinunziato
a satana e alle sue opere e ci siamo impegnati a servire fedelmente Dio
nella Santa Chiesa cattolica”. Nell’Exultet si proclama che: “Il santo
mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce
l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti.”
Questo doppio movimento in realtà come si è detto avviene in ogni santa
Messa, in particolare in tre punti i fedeli esprimono la loro
intenzione: nell’atto penitenziale, nel Padre Nostro, nel cui embolismo
viene rimarcata dal celebrante la richiesta di liberazione dal maligno
ed infine nello scambio della pace.
A ben vedere il centro della liturgia della Chiesa esprime la richiesta
di liberazione da parte dei fedeli e il sacramento attua quanto
domandato. Non si può allora assolutamente considerare lacunosa la
preghiera della Chiesa per quanto riguarda la liberazione dal maligno.
Con ciò si può comprendere il motivo per cui non esiste nella liturgia
una Messa propria per la liberazione dal maligno: la sua eventuale
presenza potrebbe far pensare che la Messa di per se stessa è aliena dal
procurare una liberazione.
E’ ben vero, invece, che è possibile applicare sia da parte del
celebrante che dei fedeli l’intenzione dei frutti della Messa. Come si
applica a beneficio dei defunti o dei vivi, degli infermi, o per la
pace, e così via, come il Messale Romano prevede, allo stesso modo si
può applicare l’intenzione per la liberazione di una o più persone
attaccate o possedute dal maligno. Lo stesso rito per gli esorcismi
prevede inoltre l’applicazione da parte dei fedeli e anche delle persone
attaccate dal maligno penitenze, digiuni ed elemosine, oltre alle
preghiere personali.
La preghiera del Padre Nostro alla quale è abilitato ogni battezzato è
ovviamente la preghiera che per eccellenza può e deve essere usata da
qualsiasi fedele nella richiesta per sé e per gli altri della
liberazione dal maligno. Ciò può essere fatto nella devozione personale
ma anche in gruppo secondo il detto di Gesù “Se due di voi sopra la
terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è
nei cieli, ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio
nome, io sono in mezzo a loro.” (Mt 18,19-20) .
Assodato che la Chiesa non presenta dunque una lacuna per quanto
riguarda la preghiera di liberazione, rimane sotto gli occhi di tutti la
grande pratica di questo tipo di preghiere, cui fa seguito anche una
buona produzione stampata che viene esercitata da gruppi in riunioni di
preghiera a volte anche in contesto liturgico: non è raro sentire
parlare di Messe di liberazione o di preghiere di liberazione connesse
con la Messa, con l’Adorazione Eucaristica, eccetera…
Alla base di tutto questo c’è certamente anche un fraintendimento
teologico e liturgico della preghiera cristiana, in particolare dei
sacramenti dell’Eucarestia e della Penitenza. Abbiamo visto come sono
questi i fondamenti per una liberazione. D’altra parte è storicamente
vero che il risveglio dell’interesse per la liberazione dall’attività
diretta del maligno è scaturito anche da questi gruppi di preghiera
dapprima spontanei e poi organizzati, quasi a rivendicare uno spazio
“dimenticato” nella Chiesa, ma certamente non dalla Chiesa.
In un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2000,
è contenuta un’istruzione circa le preghiere per ottenere da Dio la
guarigione. La Congregazione affronta la questione delle riunioni di
preghiera fatte a questo scopo a volte congiunte a celebrazioni
liturgiche e in secondo luogo a un “preteso carisma di guarigione”.
Citiamo il documento perché si affrontano problemi analoghi alle Messe
ed alle preghiere comunitarie di liberazione. Il documento poi finisce
con l’affrontare la relazione tra esorcismo e guarigione per quanto
attiene alla liturgia.
Dunque in tale documento sulla preghiera comunitaria di guarigione si
pone il problema del discernimento liturgico e del ruolo dell’autorità
ecclesiastica nella vigilanza. Al numero 2. si ricorda il sacramento
dell’unzione degli infermi, la Messa pro infirmis nel Missale Romanum
ed infine nel De benedictionibus, l’Ordo benedictionis infirmorum.:
“nel secondo formulario delle Preces, nelle quattro Orationes
benedictionis pro adultis, nelle due Orationes benedictionis pro pueris,
nella preghiera del Ritus brevior” (Cfr. Rituale Romanum, Ex Decreto
Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, Auctoritate
Ioannis Paulii II promulgatum, De Benedictionibus, Editio typica, Typis
Polyglottis Vaticanis, MCMLXXXIV, nn. 305, 306-309, 315-316, 319).
Il documento al numero 3. precisa che il potere di guarigione dato ai
discepoli da Gesù è un potere che “viene donato all’interno di un
contesto missionario, non per esaltare le loro persone, ma per
confermarne la missione”.
I “carismi di guarigione” (cf 1 Cor 12,9.28.30) vanno intesi come “doni
di guarigioni ottenute”. “Queste grazie, al plurale, sono attribuite a
un singolo, pertanto non vanno intese in senso distributivo come
guarigioni che ognuno dei guariti ottiene per se stesso, bensì come dono
concesso a una persona di ottenere grazie di guarigioni per altri.”.
“Nella Lettera di san Giacomo si fa riferimento a un intervento della
Chiesa attraverso i presbiteri a favore della salvezza, anche in senso
fisico, dei malati. Ma non si fa intendere che si tratti di guarigioni
prodigiose: siamo in un ambito diverso da quello dei «carismi di
guarigioni» di 1Cor 12,9. «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della
Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del
Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo
rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,14-15).
Si tratta di un'azione sacramentale: unzione del malato con olio e
preghiera su di lui, non semplicemente «per lui», quasi non fosse altro
che una preghiera di intercessione o di domanda; si tratta piuttosto di
un'azione efficace sull'infermo.”
Al numero 5, riguardo al «carisma di guarigione» nel contesto attuale, la Congregazione così si esprime:
La questione si pone in riferimento ad apposite riunioni di preghiera
organizzate al fine di ottenere guarigioni prodigiose tra i malati
partecipanti, oppure preghiere di guarigione al termine della comunione
eucaristica con il medesimo scopo.(…)
Per quanto riguarda le riunioni di preghiera con lo scopo di ottenere
guarigioni, scopo, se non prevalente, almeno certamente influente nella
loro programmazione, è opportuno distinguere tra quelle che possono far
pensare a un «carisma di guarigione», vero o apparente che sia, e le
altre senza connessione con tale carisma. Perché possano riguardare un
eventuale carisma occorre che vi emerga come determinante per
l'efficacia della preghiera l'intervento di una o di alcune persone
singole o di una categoria qualificata, ad esempio, i dirigenti del
gruppo che promuove la riunione. Se non c'è connessione col «carisma di
guarigione», ovviamente le celebrazioni previste nei libri liturgici, se
si realizzano nel rispetto delle norme liturgiche, sono lecite, e
spesso opportune, come è il caso della Messa pro infirmis. Se non
rispettano la normativa liturgica, la legittimità viene a mancare.(…)
Il «carisma di guarigione» non è attribuibile a una determinata classe
di fedeli. Infatti è ben chiaro che san Paolo, allorché si riferisce ai
diversi carismi in 1 Cor 12, non attribuisce il dono dei «carismi di
guarigione» a un particolare gruppo, sia quello degli apostoli, o dei
profeti, o dei maestri, o di coloro che governano, o qualunque altro;
anzi è un'altra la logica che ne guida la distribuzione: «tutte queste
cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a
ciascuno come vuole» (1Cor 12, 11). Di conseguenza, nelle riunioni di
preghiera organizzate con lo scopo di impetrare delle guarigioni,
sarebbe del tutto arbitrario attribuire un «carisma di guarigione» ad
una categoria di partecipanti, per esempio, ai dirigenti del gruppo; non
resta che affidarsi alla liberissima volontà dello Spirito Santo, il
quale dona ad alcuni un carisma speciale di guarigione per manifestare
la forza della grazia del Risorto.”
Le preghiere di guarigione e quelle di liberazione sono spesso contigue
nelle riunioni di preghiere di certi gruppi di fedeli ed è per questo
che oltre alle serie di norme che il Vescovo deve far rispettare,
all’art.8 il medesimo documento afferma:
Ҥ 1. Il ministero dell'esorcismo deve essere esercitato in stretta
dipendenza con il Vescovo diocesano, a norma del can. 1172, della
Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 29 settembre
1985(31) e del Rituale Romanum.(32)
§ 2. Le preghiere di esorcismo, contenute nel Rituale Romanum, devono
restare distinte dalle celebrazioni di guarigione, liturgiche e non
liturgiche.
§ 3. E' assolutamente vietato inserire tali preghiere di esorcismo nella
celebrazione della Santa Messa, dei Sacramenti e della Liturgia delle
Ore.”.
Si può allora concludere che :
- La S. Messa in quanto tale è fonte di liberazione, perciò non
esiste una messa specifica. Essa può essere applicata con l’intenzione
della liberazione.
- S. Messa deve essere distinta dal Rito di esorcismo. Per
conseguenza non è bene inserire momenti di preghiera di liberazione che
la modificano. Uno spazio esiste nella preghiera dei fedeli.
- Dopo la S. Messa, è possibile fare preghiere di liberazione.
- Quanto detto per la S. Messa vale anche per le atre liturgie
(Sacramenti, Lit. delle Ore, Adorazione ecc), bisogna considerare
liturgie tutte quelle presenti nei libri liturgici.
2. Preghiere comunitarie di liberazione
Quando la preghiera è fatta come sostegno per le persone tormentate dal
maligno, si può distinguere tra la situazione in cui è presente la
persona vessata o meno. Senza dubbio è lodevole che i fedeli si
riuniscano e pregare con tali intenzioni specifiche; se questo viene
fatto in luogo sacro o chiesa, è meglio che vi sia un ministro ordinato
(diacono, sacerdote).
Nel caso della preghiera fatta alla presenza di fedeli tormentati dal
maligno, occorrono delle attenzioni particolari, data la delicatezza del
caso. La persona che si suppone tormentata ha diritto alla
riservatezza, necessita di un discernimento, di una traccia spirituale
che le serva per affrontare il cammino di conversione e liberazione, un
riferimento particolare anche per il sacramento della penitenza da parte
di un sacredote consapevole ed non ignaro di questi fenomeni
straordinari che possono occorrere al fedele. La Chiesa ha preposto per
la salus animarum i sacerdoti, i quali hanno il dovere della cura
d’anime perchè specificamente preparati e dotati di grazie apposite in
forza dell’Ordine ricevuto. Perciò quando la preghiera dei fedeli è
fatta in previsione di persone che sono tormentate dal maligno e sono
presenti tra la gente è necessario che tutta la preghiera sia guidata da
un sacerdote, sia in luogo sacro che non.
Non bisogna ignorare che durante tali preghiere assai efficaci per
l’intensità di fede, possono manifestarsi mali in persone che lo
ignorano, ed allo stesso tempo, persone che sembrano solo vessate
possono rivelare uno situazione più grave grazie proprio alla preghiera e
che necessitino di esorcismi. Per tale contiguità tra liberazione e d
esorcismo a maggior ragione bisogna che sia presente un sacerdote,
perchè non è permesso dalla Chiesa che i fedeli trattino questi problemi
direttamente. Ciò detto è da tener presente che il sacerdote che non è
esorcista non può prendersi cura delle persone che sono possedute.
Nel caso dunque che durante tali preghiere, una persona si rivelasse
colpita in modo più grave di quanto sembri, non bisogna procedere, ma
affidarla ad un esorcista. La preghiera dei fedeli però deve continuare
incessante per intercedere la grazia della liberazione e sostenere
quella dell’esorcista.
Capita spesso, a seconda delle regioni, che una Diocesi non abbia ancora
nominato un sacerdote esorcista. Nell’attesa che ciò venga fatto,
almeno ad actum, il sacerdote può continuare nella cura del fedele
vessato, con preghiere di intercessione per invocare la liberazione da
Dio mediante l’intercessione dei Santi. Di questa evenienza, è
necessario che venga però informato l’Ordinario del luogo (Vescovo
diocesano). In tal caso, non è possibile che venga fatto in pubblico, ma
preferibilmente con un gruppo ristretto di persone selezionate per
fede, discrezione e disponibilità come indica il Rito (DESQ) al n. 35.
Le preghiere possibili sono quelle indicate sopra. Va tenuto conto che è
la fede e l’intenzione che si pone nella preghiera di domanda, così
come lo S. Santo ispira e dà grazia.
Poiché gli esorcisti sono comunque pochi ed in genere subissati di casi,
è importante e doveroso che un buon numero di sacerdoti lo affianchi
facendo preghiere per tutte quelle persone che sono tormentate dal
maligno, ma che non ricadono nel caso specifico della possessione. Se
tali sacerdoti collaborano strettamente con l’esorcista, sarà più
agevole sia il discernimento che la presa in carico della cura
spirituale delle persone.
Ciò detto è più agevole comprendere il documento della Congregazione per
la Dottrina della Fede del 1985 firmata dal Card. J. Ratzinger inviata
agli Ordinari del luogoche afferma:
«…sequitur ut christifidelibus non liceat adhibere formulam exorcismi
contra satanam et angelos apostaticos, excerptam ex illa quae publici
iuris facta est iussu Summi Pontificis Leonis XIII, ac multo minus
adhibere textum integrum huius exorcismi. Episcopi hac de re fideles
admovere curent in casu necessitatis.
Denique ob easdem rationes, Episcopi rogantur ut vigilent ne – etiam in
casibus qui, licet veram possessionem diabolicam excludant, diabolicum
tamen influxum aliquater revelare videntur – ii qui debita potestate
carent conventus moderentur, in quibus ad liberationem obtinendam
precationes adhibentur, quarum decursu daemones directe interpellantur
et eorum identitas cognoscere studentur.
Harum normam tamen enuntiatio minime christifideles abducere debet a
precando ut, quemadmodum Iesus nos docuit, liberentur a malo (cfr. Mt
6,3). Insuper Pastores hac oblata opportunitate uti poterunt, ut in
mentem revocent quid Ecclesiae traditio doceat circa munus quod proprie
ad sacramenta et ad Beatissimae Virginis Mariae, Angelorum Sanctorumque
intercessionem spectat in christianorum etiam contra spiritus malignos
spirituali certamine ».
La lettera fornisce delle norme che intendono regolamentare la materia
di fronte ad abusi dell’uso delle preghiere di liberazione od
esorcistiche da parte dei christifideles. La lettera è indirizzata a
tutti i vescovi e ha quindi un carattere universale.
Essa contiene due proibizioni:
1) I christifideles non possono usare la formula esorcistica di Leone XIII, sia nella formula estratta che integrale.
2) Chi non possiede la debita potestà non può essere il moderatore di
assemblee ove si facciano preghiere di liberazione, in cui si
interpelli direttamente il demonio e si cerchi di conoscerne l’identità.
Ciò anche nel caso in cui si escluda una vera possessione diabolica, ma
si tratti anche solo di influsso del maligno.
Gli abusi a cui si riferiva il documento erano concretamente preghiere
di liberazione fatte da gruppi di laici o da sacerdoti che diventavano
veri esorcismi con interrogatorio del demonio. Pertanto, qui non si
proibisce affatto la preghiera di liberazione quando è fatta con i
criteri anzidetti.
D. CHI PUÒ ESORCIZZARE E CHI PUÒ FARE PREGHIERE DI LIBERAZIONE
Il n. 13 del nuovo Rito (DESQ 1999, 2004) afferma chiaramente:
“Il ministero di esorcizzare le persone possedute dal Maligno è affidato
con speciale ed espressa licenza dell’Ordinario del luogo, di norma il
Vescovo diocesano. Tale permesso si deve concedere soltanto a sacerdoti
di provata pietà, scienza, prudenza e integrità di vita, specificamente
preparati a tale ufficio. Il sacerdote, al quale il ministero di
esorcista viene affidato in modo stabile o “ad actum”, compia questo
servizio di carità con fiducia e umiltà, sotto la guida del Vescovo
della diocesi. In questo libro il termine ‘esorcista’ significa sempre
‘sacerdote esorcista’.
Innanzi tutto, la fonte del permesso è l’Ordinario del luogo che qui è
inteso in senso stretto con il Vescovo e solo quello diocesano. Il
permesso è dunque relativo al solo territorio diocesano e non si può
intendere che un esorcista regolarmente nominato in una diocesi possa
svolgere tale compito anche in altre diocesi, anche se saltuariamente: è
necessario la speciale ed espressa licenza del Vescovo di quella
diocesi. Ci si può chiedere se un altro vescovo possa fare esorcismi
nella diocesi altrui. Il testo è assai esplicito, e anche un vescovo
avrebbe bisogno del permesso espresso. Espresso significa che non è
implicito, ma deve in modo chiaro essere dato sia verbalmente che per
iscritto.
Non è fuori luogo vedere una conferma in questo orientamento nella norma
dell’Istruzione della Congregazione della Fede del 2000, all’Art. 4 § 3
delle norme disciplinari sulle preghiere comunitarie di guarigione: “Il
permesso per tenere tali celebrazioni deve essere esplicito, anche se
le organizzano o vi partecipano Vescovi o Cardinali. Stante una giusta e
proporzionata causa, il Vescovo diocesano ha il diritto di porre il
divieto ad un altro Vescovo.”.
Per analogia, con una giusta e proporzionata causa un vescovo diocesano
potrebbe vietare ad un altro di fare esorcismi nel proprio territorio.
La norma deve far riflettere seriamente sulla gravità della cosa e la
delicatezza con cui deve essere trattata.
Il Vescovo diocesano dunque, nel proprio territorio è il primo
esorcista, e anche quando nomina un sacerdote a tale compito, in realtà
non delega completamente, ma rimane il responsabile cui spetta la
vigilanza ordinaria, ma anche “la guida” sotto cui deve stare
l’esorcista nominato. Inoltre al Vescovo vanno riferiti i casi
particolarmente difficili e gli esorcismi per i non cattolici come si
legge al n. 18 del Rito.
Chi può essere nominato esorcista è un sacerdote, non un diacono e tanto
meno un laico. L’avverbio “soltanto” è usato per escludere ogni persona
che non sia sacerdote ed è comprensivo anche le qualità che deve
possedere. Il sacerdote può essere anche un religioso o appartenere ad
altra diocesi. Questo non costituisce impedimento.
L’incarico può essere stabile o ad actum, questo dipende dalla
discrezione del Vescovo. Nel secondo caso l’Ordinario affida uno o più
casi che egli ha valutato, nel primo invece tutti i casi di effettiva
possessione possono essere affrontati dall’esorcista, senza togliere la
libertà del Vescovo di conoscere i singoli casi e di valutare
personalmente come procedere. Accanto all’esorcista stabile può esserci
anche uno ad actum. Si può verificare che la persona tormentata sia
venuta a conoscenza del problema con quel sacerdote e desideri
continuare con lui per la fiducia ormai instaurata.
Non c’è dunque spazio per gli esorcismi per i laici, anche in caso di
carismi, o di carisma esercitato in gruppo. Del resto il documento sulla
preghiera di guarigione esclude senza dubbio il carisma appartenente ad
una classe di persone:
“Il «carisma di guarigione» non è attribuibile a una determinata classe
di fedeli. (…) Di conseguenza, nelle riunioni di preghiera organizzate
con lo scopo di impetrare delle guarigioni, sarebbe del tutto
arbitrario attribuire un «carisma di guarigione» ad una categoria di
partecipanti, per esempio, ai dirigenti del gruppo; non resta che
affidarsi alla liberissima volontà dello Spirito Santo, il quale dona ad
alcuni un carisma speciale di guarigione per manifestare la forza della
grazia del Risorto”. (Istruzione, n. 5).
I laici non devono occuparsi direttamente della liberazione di persone
possedute attraverso preghiere esorcistiche,. Il documento della
Congregazione della Fede lo dice espressamente. La questione dunque non
si pone sul piano di quali preghiere si possono fare, ma se si possa
affrontare la possessione in quanto tale. Il riferimento è proprio la
persona: un posseduto è in una situazione pericolosa e difficile, il
laico può pregare per lui, ma il trattamento della persona e l’esorcismo
competono solo ed esclusivamente al sacerdote espressamente incaricato
dal Vescovo diocesano. Si comprende allora il divieto di usare la
preghiera di Leone XIII integrale o nell’estratto, come pure di
interpellare il demonio che parla per bocca di persone possedute od
anche solo vessate. Lo ripetiamo: il problema non si pone sul tipo di
preghiere lecite e illecite, ma se davanti al caso di possessione anche
solo sospetta i laici possano affrontarla, al di là delle preghiere.
Essi “devono astenersi da ogni formula di esorcismo, sia invocativa che
imperativa, riservata al solo esorcista” (DESQ n. 35).
I laici invece, hanno un ruolo di primo piano nella preghiera di
sostegno all’esorcista e al posseduto, nell’aiuto anche materiale nel
presenziare agli esorcismi, di sostegno morale per quelle persone
tormenta e che hanno bisogno di riferimenti anche dopo la preghiera e
spesso le persone in grado di comprenderle e aiutarle non sono né gli
amici né i famigliari, ma proprio chi li assiste durante gli esorcismi.
Lo stesso divieto tocca anche i sacerdoti che volessero fare esorcismi
senza permesso. Il Rituale poi non parla di delega da parte
dell’esorcista ad un altro sacerdote. Il compito è espressamente e
specialmente conferito, dunque non delegabile, né condivisibile.
Un esorcista non può dunque estendere la sua facoltà ad un altro,
neanche per gli stessi casi a lui affidati. Quando anche fosse
coadiuvato, il sacerdote non esorcista non deve fare esorcismi neanche
in presenza dell’esorcista, ma solo aiutarlo nella preghiera o nei riti
iniziali che abbiamo indicato prima che inizino le preghiere
deprecatorie. L’esorcista nominato è l’unico e solo responsabile delle
persone in trattamento. Qualora anche vi fossero uno o più esorcisti
coadiutori, la responsabilità ultima rimane di uno solo designato dal
Vescovo. Uno solo deve essere responsabile morale e spirituale del
discernimento e della conduzione degli esorcismi e deve condividere tale
compito di responsabilità col proprio Vescovo (Cf DESQ n. 13).
Riguardo alle preghiere di liberazione è previsto un ruolo ben più ampio
sia per i sacerdoti non esorcisti, che per i laici. Una volta escluso
l’esorcismo, ossia il trattamento di persone possedute o sospette tali,
ogni sacerdote in quanto tale può praticare preghiere di liberazione
nella forma e nel modo sopra definite. Occorre però rimarcare che siamo
sempre in ambito di attività straordinaria del demonio e pertanto non
c’è spazio per l’improvvisazione o la superficialità. Le doti richieste
per l’esorcista devono essere anche del sacerdote che affronti tali
casi. Alla base di tutto una vita di fede e di santità radicata
nell’umiltà.
Ciò che è stato dettato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede
sulla preghiera di guarigione e che si trova anche nelle norme del
Rituale rimane moralmente stringente anche per la preghiera di
liberazione:
- il permesso del vescovo diocesano per le celebrazioni (comunitarie) deve essere esplicito (cf Art. 4 §3)
- E' necessario inoltre che nel loro svolgimento non si pervenga,
soprattutto da parte di coloro che le guidano, a forme simili
all'isterismo, all'artificiosità, alla teatralità o al sensazionalismo. (
Art. 5,§ 3)
- L'uso degli strumenti di comunicazione sociale, in particolare
della televisione, mentre si svolgono le preghiere di guarigione,
liturgiche e non liturgiche, è sottoposto alla vigilanza del Vescovo
diocesano in conformità al disposto del can. 823, e delle norme
stabilite dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nell'Istruzione
del 30 marzo 1992.( Art. 6 ).
- L’esorcismo si svolga in modo che manifesti la fede della Chiesa e
impedisca di essere interpretato come atto di magia o di superstizione.
Si eviti che diventi uno spettacolo per i presenti. Durante lo
svolgimento del rito non si ammettono mezzi di comunicazione sociale,
sia prima che dopo la celebrazione del rito, tanto l’esorcista che i
presenti evitino di divulgarne la notizia, mantenendo un giusto riserbo.
(DESQ n. 19).
I sacerdoti non esorcisti possono dunque pregare per la liberazione
delle persone tormentate dal demonio, ma non possono esorcizzare.
Possono guidare assemblee che pregano per questa intenzione, ma devono
avere l’approvazione del Vescovo diocesano del luogo dove pregano. La
preghiera di guarigione o di liberazione non può sfociare
nell’esorcismo. Per la delicatezza della cosa e rispetto delle persone,
va curata la moderazione, e la serenità dell’ambiente e della preghiera,
non devono essere ammessi mezzi mediatici per esaltare la
spettacolarità. Le preghiere sono quelle indicate sopra.
I laici hanno una parte assai importante nella preghiera comunitaria
fatta con fede, essi devono sostenere il sacerdote che prega e unirsi
alla sua intenzione. Non possono fare preghiere esorcistiche, né in
forma deprecatoria né imperativa, in particolare non possono usare la
preghiera di Leone XIII sia nella forma integrale che estrapolata.
E. FREQUENZA DELL’ESORCISMO E GESTI DA COMPIERE E DA EVITARE DURANTE IL RITO.
1. Frequenza
Nella prassi antica come risulta da cronache e da documenti, era normale
che l’esorcismo sulle persone venisse protratto con un forte
concentrazione di tempi e durata. L’esorcista continuava per ore, giorni
a volte mesi fino a quando il posseduto non veniva liberato. La prassi
si ritrova ancora nei Parenotanda del vecchio RR ai nn. 16: “[Esorcista]
cum viderit spiritum valde torqueri, tunc magis instet et urgeat.” e
17: “ac si videat se proficer, in ipsa [verba] perseveret per duas,
tres, quatuor horas, et amplius prout poterit, donec victoriam
consequatur.”.
Il fine dell’esorcismo era e rimane quello di cacciare il demonio quanto
più in fretta possibile. Ogni indugio o sospensione non motivato causa
sofferenze alla persona tormentata. Così ad esempio non è lecito
prolungare gli esorcismi, per sperimentare situazioni prodigiose o per
far parlare il demonio con l’illusione di trarre notizie utili ecc.
Possiamo pensare che queste preoccupazioni abbiano motivato le norme e
la prassi che abbiamo detto.
Il fedele tormentato è in genere il primo interessato ad ottenere la
liberazione, dato che le sofferenze fisiche, psichiche, morali e
spirituali raggiungono spesso intensità tali e per tempi così lunghi, da
compromettere seriamente le virtù della fortezza, della speranza e
della fede stessa. Va precisato, però che oltre ai tormenti diuturni
causati dalla possessione, durante l’esorcismo la benedizione causa un
tormento al demonio, il quale sotto l’effetto dei sacramentali e della
preghiera fa torcere la persona fino a deformarla, le provoca dolori in
varie parti del corpo: colpi, slogature, graffi, gelo, bruciature,
spasmi, e non minori per intensità sentimenti di terrore, paure,
disperazione... Mentre l’esorcista prega, la persona soffre, pur
sottoponendosi spontaneamente a queste sofferenze, sa di doverle
affrontare. Il risultato, quando anche non si ottenga la liberazione
immediata, è quello di un indebolimento sensibile delle forze demoniache
e un conseguente miglioramento dello stato complessivo di forza e
salute. Dopo l’esorcismo la persona può condurre una vita normale per un
certo periodo, almeno fino alla benedizione successiva. Così, via via
fino alla liberazione definitiva, i tormentati dal demonio riacquistano
una vita più dignitosa e meno influenzata dal male.
Il problema, però, sorge durante l’esorcismo. E’ errato credere che le
persone possano subire ogni genere di vessazione e non riportarne alcun
danno o ricordo. Anche quando c’è perdita di coscienza, tutti i colpi
ricevuti dal demonio sono percepiti come se fossero stati picchiati
fisicamente da qualcuno.
Con una coscienza più sensibile a questo dato, il recente Rito (DESQ) al
n. 34 prescrive: “Tenendo conto delle condizioni del fedele tormentato
dal Maligno e delle circostanze, l’esorcista faccia uso liberamente di
tutte le possibilità che il rito gli concede. Nella celebrazione,
quindi, conservi la struttura generale, ma scelga e disponga formule ed
orazioni secondo le necessità, adattandole alla situazione delle
persone. a) Anzitutto faccia attenzione allo stato fisico e psicologico
del fedele tormentato dal Maligno, passibile di variazioni nel corso
della giornata o nell’arco di poche ore”.
Ci sembra che rimanga, detto in altre parole, l’attenzione alla
sensibilità a certe preghiere più che ad altre, a sendo del caso, ma si
insiste decisamente alla prudenza che tenga seriamente conto se la
persona in quel momento è in grado di ricevere esorcismi o quanto a
lungo.
Una nota utile, invece che viene dal passato, è quella lasciata sulla
prudenza con donne in stato di gravidanza: si raccomanda di non fare
esorcismi per non rischiare di provocare un aborto (Cf H. Baruffaldo, Ad
Rituale Romanum commentaria, Venetiis 1763, p. 231).
Gli antichi rituali prevedevano l’ordine dato al demonio di dare un
segno preciso del suo abbandono definitivo, ad esempio spegnere una
candela o simili cose.
Il vecchio RR all'inizio dell'esorcismo faceva chiedere al demonio il
nome, il giorno, e l'ora della sua uscita, con qualche segno, poi al n.
21 prescriveva che a liberazione avvenuta bisognava ammonire la persona
di evitare i peccati e di non dare occasione al diavolo di ritornare,
per non rendere la nuova situazione peggiore della prima. Ci sembra che
il riferimento implicito sia il vangelo di Mt 11 o Lc 12.
Il DESQ non presenta nessun tipo di comando se non al n. 28 in cui si dà
luogo all'esorcismo dicendo « la formula invocativa di supplica a Dio e
la formula imperativa di comando diretto al demonio, in nome di Cristo,
di lasciare la persona vessata ». Non si fa più cenno di comandi
specifici al demonio, se non quello di andarsene. Al n. 36 invece si
raccomanda al fedele liberato di continuare nella preghiera specialmente
quella attinta dalla S. Scrittura e nella frequenza dei sacramenti
della Penitenza e dell'Eucarestia, di praticare l'amore fraterno e le
opere di carità. È sembrato utile citare come fonte implicita il brano
evangelico, perché rileva che una liberazione del fedele, il quale non
sia pronto a difendere la grazia della liberazione con una fedeltà al
Signore, ma attui una condotta perversa, vale a dire fuori della grazia,
si espone ad una condizione peggiore della precedente. Ci sembra che il
DESQ richiamando alla perseveranza nel vivere uniti a Cristo mediante
la preghiera, i sacramenti e la pratica della carità, abbia come
fondamento proprio il detto di Gesù: è questa perseveranza il miglior
segno, definitivo, della liberazione. In ciò il DESQ riprende il RR
1614, n. 21, ampliando il generico richiamo a non peccare e proponendo
in modo più dettagliato la pratica e gli strumenti di una vita di
grazia.
2. Gesti
Nel nuovo Rito, sia nella prima edizione Tipica del 1999 che nella
seconda del 2004, nei Praenotanda al numero 20 viene indicato che oltre
alle formule degli stessi esorcismi bisogna prestare un’attenzione
speciale ai gesti e a quei riti che principalmente hanno luogo e
significato da ciò che viene usato nel tempo della purificazione nel
periodo catecumenale. Tali gesti sono: il Segno della Croce,
l’imposizione delle mani, la exsufflatio e l’aspersione con l’acqua
benedetta. Al numero 21 viene spiegato che l’acqua benedetta con cui si
inizia il rito è un ricordo della purificazione del Battesimo e difende
il vessato dalle insidie del nemico e l’acqua può essere usata anche
mischiata con il sale.
Dopo le litanie e i Salmi e la proclamazione del Vangelo, l’esorcista
impone la mano sul vessato con cui viene invocata la potenza dello
Spirito Santo affinché il diavolo se ne vada da colui che per il
Battesimo è diventato tempio di Dio. Nel medesimo tempo l’esorcista può
soffiare sulla faccia del vessato (cf. n.25). Infine dopo il Credo e le
promesse battesimali, con le rinunce a Satana, e la recita del Padre
Nostro, l’esorcista mostra la croce al vessato e traccia un segno di
croce sopra di lui: tale gesto indica il potere di Cristo sul diavolo
(cf. n.27).
La scelta del nuovo Rituale sui gesti da compiere durante l’esorcismo è
caratterizzata da una grande sobrietà e con un richiamo esplicito ai
gesti che si compiono nel piccolo esorcismo ossia nei riti del percorso
catecumenale per il Battesimo. Così un gesto nuovo appare rispetto al
vecchio Rituale, quello del soffio sul volto del vessato che ricorda
direttamente il rito del Battesimo. I gesti sono fortemente legati anche
alla rinnovazione della fede battesimale della rinuncia a satana, per
cui sono legati esplicitamente alla liturgia. Anche l’uso dell’acqua
benedetta deve ricordare il lavacro battesimale, come pure l’ostensione
della croce fa ricordo della sconfitta del demonio per mezzo della
stessa. L’imposizione delle mani ha il preciso scopo dell’invocazione
dello Spirito Santo ed è il tipico gesto sacerdotale della benedizione
e, se vogliamo, dell’imposizione delle mani del Vescovo per invocare lo
Spirito Santo per la Cresima o l’ordinazione sacerdotale.
Ci sembra che la scelta del nuovo Rituale sia quella di escludere
implicitamente ogni gesto che non abbia un richiamo con la liturgia e
che possa prestare il fianco all’ambiguità del gesto magico:
“L’esorcismo si svolga in modo che manifesti la fede della Chiesa e
impedisca di essere interpretalo come atto di magia o di superstizione.”
(DESQ n. 19). Questo tipo di gestualità proveniente dalla creatività
dell’esorcista, può dar adito nel fedele vessato e nei fedeli presenti,
ma anche, sottilmente, nello stesso esorcista, all’idea che il gesto
stesso sia fonte di potenza esorcistica. Se così fosse la virtus non
proverrebbe da Cristo, ma dal gesto o dalla formula recitata, quasi
avessero una potenza propria.
Se si guardano i gesti e i segni del precedente Rituale abbiamo una
esuberanza di segni di croce, la tradizione di ungere con l’olio dei
catecumeni (che stupisce non sia stato accennato). I segni di croce nel
rito venivano indicati anche all’interno della stessa formula, cioè il
momento, il numero di croci ed anche il luogo, la fronte e il petto.
Inoltre un elemento tipico indicato espressamente nel vecchio Rito era
costituito dalla stola: durante l’esorcismo un suo lembo veniva
appoggiato sul collo dell’esorcizzando.
Negli antichi rituali troviamo anche la raccomandazione oltre all’uso
dell’incenso di fare l’esorcismo preferibilmente nei luoghi santi: in
chiesa, in un santuario e possibilmente vicino all’Eucarestia. Ad
esempio i rituali più antichi del XVI° secolo dopo la Messa, davanti
all’altare il sacerdote esorcista cominciava a compiere l’esorcismo.
Venivano raccomandati anche possibilmente la vicinanza ai corpi dei
santi o l’uso delle reliquie indicando anche la grande cura di
proteggerli in panni di seta perché non subissero né offesa né danno.
Ebbene, tutte queste modalità erano ben lontane dalla mentalità magica,
ma rispecchiavano una esperienza comune che era sottesa nei rituali:
l’avversione al sacro della persona vessata. L’avversione al sacro non
citata dal precedente rituale come segno diagnostico è invece
esplicitata nell’attuale Rito.
In conclusione sarebbe ingiusto pensare di proibire questi gesti
esplicitamente in quanto passibili di ambiguità, cioè troppo vicini ai
gesti “magici”.
Non bisogna ignorare affatto però che in passato sia tra i laici che i
sacerdoti era invalso l’uso “creativo” di gesti e preghiere inventate
con uno spirito infettato dalla superstizione (si veda il Malleus
maleficarum dove si raccomanda l’uso delle preghiere della Chiesa ecc.).
Per questi motivi il cardinal Borromeo nelle Sinodi diede la norma agli
esorcisti di usare strettamente i testi comprovati.
Dobbiamo chiederci se questa “creatività” marcata dall’abuso sia
veramente lontana dalla mentalità dei nostri tempi. Infatti è facile che
i fedeli non comprendano esattamente il senso dei gesti liturgici e
possono confonderli con la superstizione e ricercare gesti analoghi di
tipo “paraliturgico”. I sacerdoti stessi, che hanno presente il senso
teologico di preghiere e gesti, nel fare esorcismi possono incorrere in
pericoli subdoli insinuati dal demonio il quale ha tutto l’interesse nel
far credere sottilmente all’esorcista di possedere per se stesso un
carisma, un potere per proprie virtù, quasi fosse possibile un’autonomia
dalla virtus Christi nella creatura. Insomma un esorcista, pur con la
perfetta cognizione di esercitare un comando in nome di Cristo e della
Chiesa, può cadere nella tentazione di credere di poter fare qualcosa
per un carisma inteso come capacità personale.
Un esempio può valere per tutti: le mani del sacerdote sono sacre perché
unte dall’olio crismale all’ordinazione. La mano del sacerdote è unta
per consacrare, assolvere, e benedire: il demonio ovviamente sente nella
sua avversione al sacro la ripugnanza per il sacerdote in quanto tale e
il suo gesto nel Rito contribuisce a rendere efficace il segno
sacramentale. Tuttavia le reazioni del demonio al gesto o al tocco della
mano sul capo dell’ossesso, possono lasciar pensare all’esorcista che
sia la mano stessa a possedere una virtù esorcistica e il demonio fa di
tutto per lasciarglielo credere. In questo modo il nemico a piccoli
tratti insinua nel sacerdote un peccato di orgoglio che lo fa credere
capace di compiere esorcismi anziché riferire nella sua povertà di
creatura tutto il merito e la potenza a Cristo. E’ utile a tale scopo
ricordare che ai discepoli che tornavano esultanti perché anche i demoni
si sottomettevano a loro, Gesù disse: “Rallegratevi piuttosto perché i
vostri nomi sono scritti nel Regno dei Cieli”. Ossia l’esorcista è un
salvato e deve ricordarsi che è debitore in tutto al Salvatore.
L'esorcismo fatto a donne pose problemi di decenza per il contatto anche
fisico che l'esorcista poteva avere con l'ossessa. Non bisogna
dimenticare anche il fatto che il demonio può approfittare
dell'occasione per mettere in atto tentazioni che facciano cadere nel
peccato il sacerdote, rovinando in tal modo tutto il suo operato. Così
Borromeo prescriveva norme di prudenza: « Quando è fatto l'esorcismo
alle donne energumene, questo si compia alla presenza di due uomini
provati per età e vita, anche donne provate allo stesso modo e con tutti
questi, quando è possibile i consanguinei o affini dell'energumena
(...). Mentre esorcizza, eviti di mettere la mano sul capo o sul corpo
se non con grande onestà e cautela ». ( Cf C. Borromeo, Conc. Mediolan.
IV...).
Il RR al n. 19 non tralascia la stessa norma e prescrive che «
Esorcizzando una donna, sia sempre presente qualche persona fidata, che
tenga stretta la persona posseduta, mentre viene agitata dal demonio; se
è possibile, queste persone siano della famiglia della posseduta.
Inoltre l'esorcista, geloso della delicatezza, si guardi bene dal dire o
fare qualcosa che possa essere per lui o per gli altri occasione di
cattivi pensieri ».
Le norme prudenziali non sembrano per niente inopportune, visto quanto
scrive Brognolus, affermando che troppo spesso gli esorcisti rivendicano
l'arte del medico. « Alcuni toccano con le mani gli ossessi e
maleficiati, specialmente le adolescenti e le giovani, e palpano la
parte vessata, ora il volto, ora il petto, ora le braccia e le mani,
spesso massaggiano il collo e il petto finché il demonio al contatto
delle mani sacerdotali fugga. (...) Chi oserà approvare tale modo di
esorcizzare, si chiede l'autore, dal momento che il demonio è un essere
spirituale immateriale, a che pro toccare la parte del corpo vessata?
Per questo san Carlo Borromeo proibì il contatto con le donne nel IV
Sinodo di Milano. Pertanto l'esorcista deve essere pudico con gli occhi,
le mani e tutti i gesti e le azioni, cauto non solo per se stesso, ma
anche per l'ossessa, e maggiormente in quanto conosce i suoi pensieri,
infine per non scandalizzare i circostanti ».( Cf C. Brognolus,
Alexicacon, o.c., Disput. IV, Quæstio XX, p. 241). Egli racconta,
inoltre, il fatto di certi esorcisti: « ...al contatto o allo
strofinamento dei quali, il demonio fingeva di subire il più grande
tormento. Ma oh se per tale atto, non avesse suscitato un altro tormento
carnale e piacevole, sia nella giovane che nell'esorcista, per il quale
molti esorcisti giunsero al baratro » (Ibidem.).
Il gesto dell’imposizione delle mani è tipicamente sacerdotale, non è
bene dunque che i fedeli laici lo usino. Un gesto che esprime però non
solo solidarietà, ma anche una volontà concreta di accompagnamento nel
difficile itinerario spirituale di liberazione e di vita cristiana è
quello di prendere per mano la persona quando si prega per la sua
liberazione. Sappiamo che in diversi casi di possessione il fedele
tormentato deve essere trattenuto per la violenza con cui viene
agitato. Il trattenere è sempre un gesto di amore, come l’assistenza ed
il sostegno nella preghiera, ma lo è ancor di più se contemporaneamente
qualcuno lo prende dolcemente per mano, a far sentire l’effetto e
l’amore che da Dio passa attraverso i fratelli mentre si prega.