giovedì 7 aprile 2011

L'avarizia : un veleno per l'anima

Nella commedia scritta nel 1668, Molière ritrae con ironia l’avarizia di Arpagone. Borghese, vecchio, ricco e vedovo, Arpagone, dominato dall’avarizia, sotterra in giardino una preziosa cassetta contenente diecimila scudi d’oro, cassetta per la quale vive in continua ansia. Ossessionato dall’idea che vogliano rubargli il suo bene, Arpagone s’insospettisce di tutti, persino dei propri figli, Cleante ed Elisa… Tale commedia, caricatura di un’avarizia consolidata nel tempo, mette in luce la tirannia e la follia di cui Arpagone è schiavo.
Il taccagno, in realtà, non è mai sazio né soddisfatto di ciò che ha: così, invidia continuamente gli altri, soprattutto chi possiede o si arricchisce più di lui; è diffidente e sospettoso delle persone che invidia; disprezza i poveri e i bisognosi, ai quali rifi uta l’elemosina; e, siccome vive con l’ossessiva paura di mancare di soldi, se perde una piccola somma di denaro, ha l’impressione che gli crolli il mondo addosso!


Louis de Funès interpretava alla perfezione il ruolo di un borghese ricco e avaro nel film L’avaro (1980), tratto dalla celebre opera di Molière. Secondo qualche indiscrezione, sembra che l’attore francese fosse davvero tirchio. L’attore Pierre Richard raccontava, infatti, che de Funès preferiva pagare il tassista con un assegno anziché in contanti, perché questi, invece d’incassare l’assegno, preferiva tenerlo per ricordo o lo esibiva orgogliosamente agli amici. È così che l’attore riusciva a risparmiare!
Divorati dalla bramosia e dall’ansia di possedere sempre di più, l’avaro e il cupido inseguono tesori effimeri e dimenticano che l’unico bene, che possa durevolmente colmare il cuore umano, è Dio stesso. Non dobbiamo, dunque, sorprenderci se chi « adora » il denaro, nella misura in cui è simbolo di potere, ha un cuore indurito, inaridito dall’egoismo e dal materialismo. 
San Francesco di Sales dichiara che le persone contagiate dall’avarizia non si riconoscono mai come malate; anzi, trovano sempre qualche pretesto per giustificare i propri comportamenti: "Nessuno vorrà mai ammettere la propria avarizia, e ciascuno disapprova questa bassezza. Chi invoca a scusa il pesante fardello dei figli; chi la necessità di crearsi una posizione solida. Non si possiede mai abbastanza; si scopre sempre un motivo per avere di più. Quelli poi che sono avari più degli altri, non ammetteranno mai di esserlo, e il bello è che, in coscienza, sono proprio convinti di non esserlo! L’avarizia è una febbre maligna, che più è forte e bruciante e più rende insensibili. Mosè vide la fiamma che bruciava un cespuglio senza consumarlo; al contrario il fuoco dell’avarizia, consuma e divora l’avaro senza mai bruciarlo. Tra gli ardori e i calori più forti, egli si vanta di provare la più riposante freschezza di questo mondo, e ritiene la sua sete insaziabile una sete naturale e piacevole" (Opere III, pp. 185-186).

P. Gilles

Cf. Guarire le ferite dell'anima con san Francesco di Sales, Paoline, 2011, pp.62-76.


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