giovedì 31 ottobre 2013

TUTTI I SANTI



 



Affrettiamoci verso i fratelli che ci aspettano.

Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate (Disc. 2; Opera omnia, ed. Cisterc. 5 [1968] 364-368)

A che serve dunque la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità? Perché ad essi gli onori di questa stessa terra quando, secondo la promessa del Figlio, il Padre celeste li onora? A che dunque i nostri encomi per essi? I santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. E' chiaro che, quando ne veneriamo la memoria, facciamo i nostri interessi, non i loro.
Per parte mia devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri.
Il primo desiderio, che la memoria dei santi o suscita o stimola maggiormente in noi, è quello di godere della loro tanto dolce compagnia e di meritare di essere concittadini e familiari degli spiriti beati, di trovarci insieme all'assemblea dei patriarchi, alle schiere dei profeti, al senato degli apostoli, agli eserciti numerosi dei martiri, alla comunità dei confessori, ai cori delle vergini, di essere insomma riuniti e felici nella comunione di tutti i santi.
Ci attende la primitiva comunità dei cristiani, e noi ce ne disinteresseremo? I santi desiderano di averci con loro e noi e ce ne mostreremo indifferenti? I giusti ci aspettano, e noi non ce ne prenderemo cura? No, fratelli, destiamoci dalla nostra deplorevole apatia. Risorgiamo con Cristo, ricerchiamo le cose di lassù, quelle gustiamo. Sentiamo il desiderio di coloro che ci desiderano, affrettiamoci verso coloro che ci aspettano, anticipano con i voti dell'anima la condizione di coloro che ci attendono. Non soltanto dobbiamo desiderare la compagnia dei santi, ma anche di possederne la felicità. Mentre dunque bramiamo di stare insieme a loro, stimoliamo nel nostro cuore l'aspirazione più intensa a condividerne la gloria. Questa bramosia non è certo disdicevole, perché una tale fame di gloria è tutt'altro che pericolosa.
Vi è un secondo desiderio che viene suscitato in noi dalla commemorazione dei santi, ed è quello che Cristo, nostra vita, si mostri anche a noi come a loro, e noi pure facciamo con lui la nostra apparizione nella gloria. Frattanto il nostro capo si presenta a noi non come è ora in cielo, ma nella forma che ha voluto assumere per noi qui in terra. Lo vediamo quindi non coronato di gloria, ma circondato dalle spine dei nostri peccati.
Si vergogni perciò ogni membro di far sfoggio di ricercatezza sotto un capo coronato di spine. Comprenda che le sue eleganze non gli fanno onore, ma lo espongono al ridicolo.


martedì 1 ottobre 2013

L'uso dell'incenso nella liturgia: significato teologico & modalità pratiche



La sparizione dell'uso dell'incenso nella Messa riformata di Paolo VI è qualcosa di assolutamente inspiegabile. Infatti mentre nel rito romano classico l'uso dell'incenso era strettamente regolato, confinato alla sola messa cantata e alla messa solenne (da quest'ultima non poteva mai mancare), nel rito riveduto l'uso dell'incenso è stato invece ampiamente liberalizzato. Ma proprio da quando lo si può usare sempre e comunque, il turibolo fumigante è sparito dalle nostre chiese. Riappare immancabilmente al termine dei funerali, prendendo così un senso di mestizia e di lutto che non gli è affatto appropriato. Forse il motivo è da ricercare nella traduzione sibillina di una rubrica del num. 276 dei Principi e norme per l'uso del Messale Romano: l'utilizzo dell'incenso, in latino, è ad libitum, ma invece di tradurre questa locuzione con a piacere, nel testo CEI l'incensazione in tutte le messe è diventata semplicemente facoltativa. E si sa, nella mentalità del clero di un certo stampo, tutto quello che è facoltativo significa sconsigliato (leggasi: inutile orpello).
Ad libitum, propriamente, è invece un'espressione della lingua latina che significa "a piacere", "a volontà"! Altro che non obbligatorio, opzionale, non richiesto (cioè facoltativo)! E' facoltativo in senso positivo (cioè hai facoltà di usarlo), ma questa accezione in italiano non è più normalmente percepita, pertanto la traduzione può risultare ingannevole.
Visto poi che l'incenso esprime riverenza e preghiera, perchè mai privarsene, visto che lo si può usare, proprio nel nostro tempo che ha tanto bisogno di segni fisici di preghiera e devozione?
Tra l'altro, proprio i più spinti propugnatori della postmodernità, affermano che bisogna coinvolgere tutti i sensi nel rito, non solo "l'anima", ma anche il corpo. Il profumo soave dell'incenso, si sa, fa entrare volenti o nolenti in "clima" mistico (come dimostra il suo uso nelle varie religioni, non solo nel cristianesimo).

Ma in realtà c'è di più. La mia teoria è che l'incenso, essendo un segno tipicamente sacrificale (= bruciare una cosa preziosa con l'intenzione di offrirla a Dio), sia stato messo in disparte proprio per questo suo inequivocabile e ancestrale richiamo, non certo adatto ad una festa, ad una cena tra amici, o cose del genere. Il levarsi delle volute di fumo profumato non può che richiamare il tempio e Dio a cui si offre la vittima in olocausto, accompagnandola con soave profumo. Nei riti offertoriali della Messa questo era (ed è tuttora) evidente.

Già presso i pagani, l'incenso veniva bruciato davanti alle immagini degli dei e davanti all'imperatore ad essi equiparato.
Nei primi secoli del cristianesimo, numerosi cristiani furono martirizzati per essersi rifiutati di compiere questo gesto idolàtrico. In seguito, tanto era forte il richiamo sgradevole della persecuzione dei non turificanti, per distinguere il culto cristiano da quello pagano, l'uso dell'incenso dalla liturgia fu addirittura soppresso. Esso venne ripristinato soltanto dopo l'editto di Costantino e il declino del paganesimo. A Roma non si usavano però turiboli o cose orientali del genere. Il poco incenso che si utilizzava era sparso in appositi bracieri. L'incenso all'offertorio è rientrato dal IX sec. nella liturgia carolingia e addirittura nell'XI nella liturgia romana.

L'incenso nella Bibbia:

Per quanto riguarda la liturgia dell'Antico Testamento, Mosè riceve dal Signore l’ordine di costruire un altare speciale riservato all’incenso per il culto divino:

Farai un altare sul quale bruciare l’incenso: lo farai di legno di acacia (...). Rivestirai d’oro puro il suo piano, i suoi lati, i suoi corni e gli farai intorno un bordo d’oro (...). Porrai l’altare davanti al velo che nasconde l’arca della Testimonianza, di fronte al coperchio che è sopra la testimonianza, dove io ti darò convegno. Aronne brucerà su di esso l’incenso aromatico: lo brucerà ogni mattina quando riordinerà le lampade e lo brucerà anche al tramonto, quando Aronne riempirà le lampade: incenso perenne davanti al Signore per le vostre generazioni (...). È cosa santissima per il Signore” (Es 30,1-10).

L’incenso, veniva posto anche sopra le oblazioni bruciate sull’altare come memoriale: “profumo soave per il Signore” (cfr. Lv 2).

Più tardi, nel Tempio di Gerusalemme, nella ricorrenza annuale dell'Espiazione (Yom Kippur), il sommo sacerdote, oltrepassava il velo del Tempio ed entrava con l’incensiere nel Santo dei Santi, per bruciarvi “due manciate di incenso odoroso polverizzato”, allora, una nube densa e profumata, avvolgeva ogni parte del luogo santissimo in cui era custodita l’Arca dell’Alleanza (cfr. Lv 16,12-13).

In Israele, si incensavano le persone, gli oggetti, e i luoghi riservati al culto del Dio Unico. Tutti coloro che partecipavano al culto divino, erano invitati ad effondere un soave profumo spirituale: “Ascoltate, figli santi...Come incenso spandete un buon profumo” (Sir 39,13-14).

L’incenso, legato al culto degli Israeliti, sarà più tardi presente, con la sua ricca valenza simbolica, anche nella liturgia cristiana, soprattutto nelle Chiese d'Oriente.
Nel Vangelo di Matteo, viene descritto l’omaggio fatto a Gesù da alcuni personaggi misteriosi: i Magi. Costoro, giungendo dalle lontane terre di oriente per incontrare il “re dei Giudei”, gli offrono in dono, con l’oro e la mirra, anche l’odoroso incenso, custodito in scrigni preziosi (Cfr Mt 2,11).

La Chiesa antica

Nel IV secolo (epoca d'oro dei liturgisti), la famosa pellegrina Egeria, così descriveva una liturgia svoltasi nel Santo Sepolcro di Gerusalemme: “Quando si sono cantati questi tre salmi e fatte queste tre orazioni, ecco che vengono portati dei turiboli all’interno della grotta dell’Anastasi, perché tutta la basilica dell’Anastasi si riempia di profumi”. [Diario di Viaggio, 24,10]
La solenne incensazione del luogo da cui Cristo è risorto precedeva la lettura, da parte del vescovo, del Vangelo della risurrezione. L’uso dell’incenso nel Santo Sepolcro, ripropone l’immagine delle donne che portarono oli aromatici per imbalsamare il corpo del Signore e trovarono invece l’angelo che ne annunciava la gloriosa risurrezione (Cfr Mc 1,6).
Secondo San Paolo, tutti i cristiani, con la loro testimonianza di fede, spandono nel mondo il profumo di Cristo che si è offerto al Padre “in sacrificio di soave odore”(Cfr 2Cor 2,14-16; Ef 5,2).

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L'Ordinamento generale del Messale Romano, rivisto nel 2000, descrive così il senso e il modo di utilizzare nel rito eucaristico l'incenso (lo leggiamo in latino con le traduzioni interlineari):

De incensatione

276. Thurificatio seu incensatio reverentiam exprimit et orationem, ut in Sacra Scriptura significatur (cf. Ps. 140, 2; Apoc. 8, 3). L’incensazione esprime riverenza e preghiera, come è indicato nella sacra Scrittura (Cf. Sal 140, 2; Ap 8, 3).

Incensum ad libitum adhiberi potest in qualibet forma Missae:
Trad. CEI: L’uso dell’incenso in qualsiasi forma di Messa è facoltativo: (Leggi: anche nella messa solenne si può omettere)
Trad. Letterale: L'incenso può essere usato a piacere in qualsiasi forma di Messa: (Leggi: anche nella messa letta e quotidiana si può utilizzare!)

* durante processione ingressus; durante la processione d’ingresso;
* initio Missae, ad crucem et altare thurificandum;
all’inizio della Messa, per incensare la croce e l’altare;
* ad processionem et ad proclamationem Evangelii;
alla processione e alla proclamazione del Vangelo;
* pane et calice super altare depositis, ad thurificanda oblata, crucem et altare, necnon sacerdotem et populum;
quando sono stati posti sull’altare il pane e il calice, per incensare le offerte, la croce e l’altare, il sacerdote e il popolo;
* ad ostensionem hostiae et calicis post consecrationem.
alla presentazione dell’ostia e del calice dopo la consacrazione.

277. Sacerdos, cum incensum ponit in thuribulum, illud benedicit signo crucis, nihil dicens.
Il sacerdote quando mette l’incenso nel turibolo lo benedice tracciando un segno di croce, senza nulla dire.

Ante et post thurificationem fit profunda inclinatio personae vel rei quae incensatur, altari et oblatis pro Missae sacrificio exceptis.
Prima e dopo l’incensazione si fa un profondo inchino alla persona o alla cosa che viene incensata, non però all’altare e alle offerte per il sacrificio della Messa.

Tribus ductibus thuribuli incensantur: Ss.mum Sacramentum, reliquia sanctae Crucis et imagines Domini publicae venerationi expositae, oblata pro Missae sacrificio, crux altaris, Evangeliarium, cereus paschalis, sacerdos et populus.
Con tre colpi del turibolo si incensano: il SS. Sacramento, la reliquia della santa Croce e le immagini del Signore esposte alla pubblica venerazione, le offerte per il sacrificio della Messa, la croce dell’altare, l’Evangeliario, il cero pasquale, il sacerdote e il popolo.

Duobus ductibus incensantur reliquiae et imagines Sanctorum publicae venerationi expositae, et quidem initio tantum celebrationis, cum incensatur altare.
Con due colpi si incensano le reliquie e le immagini dei Santi esposte alla pubblica venerazione, unicamente all’inizio della celebrazione, quando si incensa l’altare.

Altare incensatur singulis ictibus hoc modo:
L’altare si incensa con singoli colpi in questo modo:

* si altare est a pariete seiunctum, sacerdos illud circumeundo incensat;
a) Se l’altare è separato dalla parete, il sacerdote lo incensa girandogli intorno;

* si vero altare non est a pariete seiunctum, sacerdos transeundo incensat primo partem dexteram, deinde partem sinistram.
b) Se invece l’altare è addossato alla parete, il sacerdote lo incensa passando prima la parte destra dell’altare, poi la sinistra.

Crux, si est super altare vel apud ipsum, thurificatur ante altaris incensationem, secus cum sacerdos transit ante ipsam.
La croce, se è sopra l’altare o accanto ad esso, viene incensata prima dell’altare; altrimenti quando il sacerdote le passa davanti.

Oblata incensat sacerdos tribus ductibus thuribuli, ante incensationem crucis et altaris, vel signum crucis super oblata thuribulo producens.
Il sacerdote incensa le offerte prima dell’incensazione della croce e dell’altare con tre colpi di turibolo, oppure facendo col turibolo il segno di croce sopra le offerte.

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Per i sacerdoti fermi alle rubriche della prima e seconda edizione del Messale: in questi numeri ci sono delle novità (ovvero un ripristino di ritualità antiche) che non sono ancora entrante nell'uso di molti celebranti (ovviamente per scarsa dimestichezza con il turibolo che vedono raramente).

1) Quando il sacerdote impone l'incenso, adesso lo benedice formando un segno di croce con la mano destra, senza dire nulla (questo perchè sono state abolite, ahimè, le parole che nel rito antico accompagnavano questo gesto. Il gesto è tornato - la preghiera no: ab illo benedicaris in cuius honore cremaberis). Il fumo che proviene dall'incensiere - si sono ricordati i correttori delle rubriche - deve essere benedetto. Quando arriva alle narici dei credenti esso è portatore della benedizione che li avvolge e li pervade. Tutti i partecipanti al rito eucaristico sono incensati: tutti sono offerta gradita a Dio! Quale potente simbolismo del sacerdozio comune riscoperto dal Vaticano II! (Il sacerdozio comune, lo ricordo, abilita ad offrire se stessi in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, come e con Cristo).

2) Il sacerdote si inchina prima di incensare cose e/o persone, ma non ci si inchina prima di incensare le oblate sopra l'altare all'offertorio (come molti fanno).

2) Le oblate si possono incensare "facendo col turibolo il segno della croce" sopra di esse. Anche questo è un "ritorno" graditissimo (eppure poco utilizzato, perchè anche questo ad libitum). Vi posto qui sotto il disegno classico che guida i sacerdoti ad imparare come incensare le offerte nel rito romano. E' oggi applicabile non solo al rito antico, ma come mostrano le rubriche rinnovate, anche al rito ordinario.
Se poi - cari sacerdoti - volete sussurrare mentalmente anche le parole che accompagnano l'incensazione cruciforme, penso possa essere un utile richiamo mistico del significato del gesto che state compiendo. Incensare muovendo il turibolo in forma di croce, rievoca evidentemente il sacrificio del Signore che sta per compiersi sull'altare; mentre l’incensazione circolare, significa che i doni e le offerte sono stati circoscritti, riservati cioè al culto divino.
Ecco lo schema dal Messale di Giovanni XXIII che illustra le modalità e le preghiere per incensare nella forma straordinaria:






Incensum istud, a te benedictum, ascendat ad te, Domine, et descendat super nos misericordia tua.
Quest'incenso da te benedetto, salga a te, o Signore, e discenda su di noi la tua misericordia

mentre incensa l'altare il sacerdote sussurrava il Salmo 140,2-4:
Dirigatur, Domine, oratio mea, sicut incensum in conspectu tuo:
elevatio manuum mearum sacrificium vespertinum.
Pone, Domine, custodiam ori meo, et ostium circumstantiæ labiis meis:
ut non declinet cor meum in verba malitiæ, ad excusandas excusationes in peccatis.
- Come incenso salga a te la mia preghiera,
le mie mani alzate come sacrificio della sera.
Poni, Signore, una custodia alla mia bocca,
sorveglia la porta delle mie labbra.
Non lasciare che il mio cuore si pieghi a parole piene di malizia
per trovar scuse con cui giustificare i miei peccati.


restituendo il turibolo al diacono o al ministrante dice:
Accendat in nobis Dominus ignem sui amoris, et flammam æternæ caritatis. Amen.
Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma dell'eterna carità. Amen

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LITURGIA COPTA DELLA «PREGHIERA DELL’INCENSO»
Basilica di Santa Maria Maggiore - Domenica, 14 agosto 1988

“Come incenso salga a te la mia preghiera,
le mie mani alzate come sacrificio della sera” (Sal 140, 1).

1. Con queste parole il salmista rende esplicito il legame simbolico tra la preghiera vespertina e il salire dell’incenso.

Il levarsi delle volute di incenso esprime con grande potenza evocativa l’anelito dello spirito umano a librarsi verso l’alto, a superare le angustie quotidiane, per riconoscere il senso della propria esistenza e ricongiungersi con Dio. Con l’incarnazione, il Verbo ha voluto assumere la natura umana ed è entrato in un nuovo rapporto anche con il cosmo, per presentarlo a Dio Padre quale offerta a lui gradita.

Nella visione sicura della fede, il bisogno di infinito, di perfezione, di comunione intima e profonda della creatura col Creatore non è semplice nostalgia o sogno dell’impossibile, ma è un pellegrinaggio ininterrotto, una tensione perenne, dell’uomo verso il suo fine che si esprime incessantemente in atteggiamenti di “condiscendenza”.

“Fecisti nos ad te, et inquietum est cor nostrum donec requiescat in te”, ci ricorda il santo vescovo Agostino (S. Augustini “Confessiones”, 1,1).

Questo incenso che sale senza tregua al cielo porta con sé l’aspirazione profonda del nostro cuore, verso Dio che si esprime nell’anelito della preghiera. L’incenso accompagna dunque il levarsi delle nostre mani al cielo, per offrire a Dio la nostra sete di lui e, nello stesso tempo, per presentargli persone e cose, desideri e aspirazioni.

...Partecipando all’odierna preghiera dell’incenso desideriamo fare nostri idealmente i toni variegati e molteplici di ogni liturgia della Tradizione dell’Oriente, anche di quelle che non si sono potute celebrare in questa alma città.

La liturgia copta, così adatta ad esprimere l’attesa vigilante del monaco che, con i fianchi cinti e le lucerne accese, accoglie il rivelarsi discreto, ma sicuro del suo Signore, è la voce mirabile, con cui oggi si esprime la fervida attesa della Chiesa per il Signore che viene....

4. Diletti fratelli e sorelle, amate questa vostra liturgia, nella quale e con la quale oggi prega con voi il Vescovo di Roma; sentitela come espressione viva della vostra sensibilità religiosa e culturale; vedetela come frutto originale di cui la Chiesa universale va fiera. Difendetene l’eredità, perché continui ad essere il luogo ove il palpito del vostro cuore si fa più spontaneamente preghiera. Siate sempre in continuità con la testimonianza gloriosa dei vostri padri nella fede, i quali, alimentandosi alla liturgia seppero sostenere le prove del martirio e compiere con coraggio e fermezza scelte di vita impegnative. Non aderite con eccessiva improvvisazione alla imitazione di culture e tradizioni che non siano le vostre, tradendo così la sensibilità che è propria del vostro popolo.

Molte volte i miei predecessori hanno insistito su questo punto così rilevante. Vorrei qui ricordare tra tutti, due grandi Papi, benemeriti per l’Oriente cristiano: Benedetto XIV, al quale dobbiamo la costituzione “Demandatam”, del 24 dicembre 1743; e Leone XIII, che ha emanato la celebre lettera apostolica “Orientalium Dignitas Ecclesiarum”, il 30 novembre 1894.

A loro fa eco il Concilio Vaticano II che con vigore sottolinea come “non si devono introdurre mutazioni, se non per ragioni del proprio organico progresso” (Orientalium Ecclesiarum, 6).

Questo significa che è necessario che ogni eventuale adattamento della vostra liturgia si fondi su uno studio attento delle fonti, su una conoscenza obiettiva delle peculiarità proprie della vostra cultura, sul mantenimento della tradizione comune a tutta la cristianità copta.

Testo preso da: L'uso dell'incenso nella liturgia: significato teologico & modalità pratiche http://www.cantualeantonianum.com/2009/09/luso-dellincenso-nella-liturgia.html#ixzz2gVN4aIYT
http://www.cantualeantonianum.com

Norme e prassi dell'esorcismo

Norme e prassi dell’Esorcismo
nella Chiesa Cattolica

Il testo è frutto di estratti da:
-G.Nanni, Il dito di Dio e il potere di satana. L’esorcismo, Libreria Editrice Vaticana 2004.
-Lezioni  di d. G. Nanni, tenute presso l’Ateneo Regina Apostolorum, Roma 2005.

       A. IL NUOVO RITUALE PER L’ESORCISMO

Il De exorcismis et supplicationibus quibusdam (DESQ)  risulta innovativo per l'introduzione di nuove formule esorcistiche e per l'operazione di inversione dell'ordine delle formule deprecatorie rispetto alle imperative. Quelle che fino al vecchio Rituale erano orationes finali, nel nuovo Rito diventano preghiere deprecatorie e messe al primo posto. Questo cambiamento è una caratteristica della nuova impostazione liturgica conferita al rito per gli esorcismi dal DESQ.

0.    Gli ossessi nell'attuale rituale
Il nuovo Rituale usa i seguenti termini per indicare le persone indigenti del grande esorcismo: vexationis seu obsessionis (n. 10), obsessum (nn. 14, 16), obsessos (n. 13), obsidentis dæmonis (n. 13), obsessionem (n. 14), vexatum (nn. 14, 25, 28, 32, 35).
Gli ossessi, posseduti o vessati dal demonio sono l'oggetto dell'intervento della Chiesa mediante l'esorcismo solenne.
Il DESQ, in continuità col Rito presente nel Rituale Romano del 1614, con le variazioni ed aggiunte intercorse fino alla sua ultima edizione del 1952, intende offrire al fedele vessato od ossesso, tra i diversi strumenti, l'esorcismo maggiore, solenne, chiamato anche grande, che è un'azione liturgica... che intende espellere i demoni o liberare dall'influsso demoniaco.43
Non abbiamo nei documenti una definizione di vessazione od ossessione diabolica, però dal DESQ possiamo trarre degli elementi in negativo per escludere cosa non sia un'ossessione diabolica:
-non è la tentazione che i fedeli, anche se rinati in Cristo, sperimentano (DESQ n. 10)
-non sono sufficienti i normali mezzi di lotta contro la tentazione: fede, preghiera della Chiesa, sacramenti (DESQ nn. 9‑10).
-è una forma di potere del diavolo, diversa da quella che deriva dal peccato originale (DESQ n. 10).
-è una forma di potere del diavolo che ha la facoltà anche di colpire un battezzato (DESQ n. 10), quindi ogni uomo indipendentemente dalla fede o religione (DESQ n. 18).
-tale forma di potere è o un influsso o una presenza (che deve essere scacciata) (DESQ n. 11; CCC n. 1673).
-non è una malattia di natura psichica (DESQ n. 14; CCC n. 1673).
-non è frutto d'immaginazione (DESQ n. 14).
-non è un'infermità naturale curabile con la medicina, ma con l'esorcismo (DESQ n. 14).
-non è frutto di credulità (DESQ n. 15).
Vi sono segni positivi, che provengono dalla prassi consolidata che “vanno ritenuti segni di possessione diabolica”:
-parlare correntemente lingue sconosciute o capire chi le parla;
-rivelare cose occulte e lontane;
-manifestare forze superiori all'età o alla condizione fisica.
Essi sono solo indizi e sono da considerare anche altri segni soprattutto d'ordine morale e spirituale. Possono essere la forte avversione a Dio, alla Santissima Persona di Gesù, alla B. V. Maria, ai Santi, ai riti soprattutto dei Sacramenti, alle immagini sacre (DESQ n. 16).
Questi segni vanno considerati in rapporto all'impegno spirituale nella vita cristiana.
Otteniamo pertanto un profilo in negativo del posseduto, che indica una situazione in cui il potere del diavolo è tale da dover escludere cause naturali, malattie d'ordine fisico e psichico; si escludono anche fattori soggettivi come l'immaginazione o la credulità. Si tratta, quindi, di un potere oggettivo, d'origine e natura spirituale proveniente dal demonio. Tale potere non è affrontabile con i mezzi della scienza medica. Non è identificabile con l'ordinaria tentazione che proviene dal mondo o dal demonio e non sono sufficienti (o adatti nell'immediato) i normali mezzi di grazia (esorcismo pre‑battesimale, fede, preghiera della Chiesa, sacramenti).
Il fenomeno è oggettivamente indipendente dal credo religioso o dalla fede e può manifestarsi in persone cattoliche, catecumeni, non–cattolici e non–cristiani.
Si tratta più in concreto, di una persona ossessa o vessata sulla quale grava una forma di potere del demonio che deve essere scacciato. I due termini usati tuttora dal DESQ, ma senza esplicazione, sono spesso accostati all'espressione “influsso diabolico”. Esso sembrerebbe distinguersi dagli altri termini, come fosse una forma d'azione diabolica interna alla persona, ma che esclude il possesso.

1.    Il discernimento nel nuovo Rito
I numeri 14‑17 dei Prænotanda del DESQ intendono fornire indicazioni per il discernimento della persona ossessa, se in pratica l'esorcizzando sia ossesso o no. Vale la norma generale che si proceda all'esorcismo solo in caso di reale possessione, così come già le fonti di diritto canonico e liturgico indicano.44

Il DESQ al n. 14 offre una norma di carattere generale: « L'esorcista in caso di intervento che viene detto demoniaco deve anzitutto usare la necessaria e massima prudenza ». Poi affronta il caso in cui chi sospetta il caso di un'ossessione diabolica sia l'esorcista: « Come prima cosa non creda facilmente, che sia ossesso dal demonio chi soffre di qualche malattia specialmente psichica ». Il primo pensiero dell'esorcista, quindi, non deve essere quello di una possessione, ma di cause naturali: una malattia, intesa in senso generico, poi in particolare quelle della sfera psichica.
L'esorcista è nuovamente invitato alla prudenza di fronte ad una presunta possessione ipotizzata come tale, ma frutto, questa volta, d'immaginazione del diretto interessato, l'esorcizzando « allo stesso modo non creda sia un'ossessione, quando per primo afferma di essere tentato in modo particolare dal diavolo, desolato e infine vessato; infatti può essere tentato dalla propria immaginazione ».
In entrambi i casi, l'esorcista deve discernere in modo cauto e prudente circa il sospetto di possessione, questa prudenza deve esercitarla quando il sospetto è presentato dalla persona, ma anche quando egli stesso si sente portato a supporla. Questa prudenza interpretativa è ripresa alla fine del punto 14, quando si afferma che « in ogni caso l'esorcista valuti esattamente se colui che dice di essere tormentato lo sia realmente ». La preoccupazione del rituale è quella di arginare una facile tendenza ad interpretare tutti i casi come di possessione diabolica: lo afferma esplicitamente per due volte, quando essa provenga dalla persona interessata, e lo prescrive all'esorcista stesso, il quale anche di fronte alla propria opinione di caso sospetto deve in ogni occasione diffidare di se stesso e cercare quindi altre verifiche.
Tutta questa cautela, non deve far pensare che il compito dell'esorcista sia solamente quello di tranquillizzare chi si trovi preoccupato per l'ipotesi di essere posseduto dal Maligno: non è valida l'equazione seguente, se il sospetto proviene dall'interessato, ciò significa che in realtà non si tratta d'intervento diabolico. Infatti, sempre il punto 14 mette in guardia l'esorcista dal possibile inganno del demonio « di persuadere l'ossesso di non sottoporsi all'esorcismo, e che la sua infermità sia naturale e dipendente dalla medicina ».
In questo caso sembra che la certezza morale dell'esorcista di trovarsi di fronte ad una vera possessione si scontri con l'incredulità dell'esorcizzando stesso, condizionato, però, dal Maligno. Il problema del condizionamento mentale, psicologico, pone l'esorcista nella difficoltà concreta di discernere il male, poiché il fedele non è sempre una fonte oggettiva o credibile, pur essendo colui che più dettagliatamente fornisce elementi di fatti interiori od esteriori per la valutazione. In questo caso il sacerdote esorcista deve saper prendere una decisione che prescinde dal consenso dell'esorcizzando.
Visto che la collaborazione è un elemento fondamentale per la liberazione, se si decide di iniziare senza il consenso dell'interessato, si deve farlo con la prospettiva di ottenere un minimo di libertà interiore che permetta al fedele di affidarsi pienamente alla Chiesa. Pensiamo che il consenso debba provenire da persone vicine o parenti del fedele, disposte ad accompagnarlo e a sostenerlo nella lotta contro il Maligno.
La massima cautela e prudenza è dunque la norma dell'esorcista per affrontare i casi di possessione, ma ciò non significa scetticismo, quanto piuttosto cercare di raggiungere la certezza morale di una vera possessione diabolica, come affermato al n. 16.
Il n. 15 del DESQ, nell'edizione 1999, introduce un'altra distinzione: quella tra i casi d'aggressione diabolica da quelli derivanti da una certa credulità. Essa consiste « nel ritenersi oggetto di malefici, disgrazie o maledizioni fatte ricadere da altri su di loro o sui parenti o sui loro beni ». In tal caso l'esorcista deve « evitare assolutamente l'esorcismo ».
Ci sembra che qui si ponga un dubbio interpretativo. Nell'ipotesi d'interpretazione stretta il testo potrebbe indicare che malefici, sortilegi o maledizioni, ecc., siano in quanto tali un mero oggetto di credulità popolare, ma senza alcun fondamento di verità e senza riscontri nella fede e nella teologia. La conseguenza  di tale interpretazione sarebbe che ogni caso che faccia riferimento a tale credenza non sarebbe da prendere in considerazione con divieto di praticare l’esorcismo.
Nell'ipotesi d'interpretazione ampia il n. 15 del DESQ potrebbe indicare un dovere dell'esorcista di distinguere tra il fatto oggettivo (aggressione diabolica) senza escludere la causa dei malefici, ecc. e quella credulità che porta troppo meccanicamente a ricercare in quelle cause la spiegazione di fatti ritenuti a torto fuori della normalità.
A favore dell'interpretazione stretta sta il fatto che il DESQ non assimila questa credulità all'immaginazione, come al punto 14. Inoltre, la sintassi delle parole lascia intendere che la credulità sia proprio quella che spinge le persone a ritenersi oggetto di malefici e la conseguenza non detta sarebbe che i malefici sono solo una falsa credenza popolare: in ogni caso si dovrebbe evitare l'esorcismo.
Potrebbe succedere, tuttavia che il fedele, a prescindere dall'esistenza o meno delle maledizioni, con la normale attività di discernimento dell'esorcista, risulti ossesso. Ovviamente in tal caso si potrebbe procedere all'esorcismo. La presunta maledizione, magia, maleficio non sarebbero in tal caso per nulla indicativi né costituirebbero impedimento all'esorcismo e l'importante sarebbe dimostrare la presenza della possessione senza tener conto delle cause addotte dal fedele.
La seconda interpretazione, invece, può trovare sostegno nel fatto che la dottrina cattolica comprende il divieto (e quindi anche l'esistenza) delle « pratiche di magia e di stregoneria con le quali si pretende di sottomettere le potenze occulte per porle al proprio servizio ed ottenere un potere soprannaturale sul prossimo, fosse anche per procurargli la salute (...). Tali pratiche sono ancor più da condannare quando si accompagnano ad una intenzione di nuocere ad altri o quando in esse si ricorre all'intervento dei demoni ».46 La nuova edizione del DESQ 2004, sostituisce al n. 15 ab illa credubitate con a falsa opinione, perciò è possibile l'interpretazione per cui bisogna distinguere il caso di attacco diabolico da quello in cui il fedele ritiene erroneamente di essere vittima di malefici ecc. Con ciò sono da escludere l'opinione sbagliata di quella persona in quel determinato caso, e non i malefici come frutto, in ogni caso, della credulità popolare.
Di fatto, allora, nel caso in cui un fedele, dopo la disamina dei segni risultasse posseduto e ciò come conseguenza di un maleficio, l'esorcista potrebbe, con buona coscienza intraprendere un esorcismo.
Una nuova distinzione del DESQ n. 16 è costituita dalla semplice tentazione diabolica: una volta inquadrata come tale, sono sufficienti preghiere appropriate fatte da un sacerdote non esorcista o da un semplice diacono.
Il DESQ n. 16, come si è già anticipato, termina con una prescrizione negativa: « L'esorcista non proceda alla celebrazione dell'esorcismo nella forma imperativa, se non è moralmente certo che la persona da esorcizzare è veramente posseduta dal demonio » e aggiunge che « per quanto possibile, non proceda senza il suo consenso ».
Il consenso è fondamentale, ma non necessario: a volte non è possibile rimettersi al consenso dell'esorcizzando perché lo stato di possessione può causare una totale incapacità ad esprimerlo (stato di trance) o una repulsione tale al sacro (Sacramenti, sacramentali ed anche al sacerdote) da rendere la persona non libera interiormente al punto da non riuscire o volere chiedere l'esorcismo. Tuttavia, come si è mostrato sopra al Capitolo I, la libertà della persona è impedita, bloccata, cioè non libera di attingere alla fonte di grazia che promana dai Sacramenti. La persona, che inizialmente è esorcizzata pur senza il suo consenso, si troverà in uno stato nuovo, di maggior libertà e padronanza, ma non immediatamente affrancata dall'aggressione infernale: il nuovo stato di libertà diventa lo spazio utile per dirigere la propria volontà verso gli strumenti di salvezza della Chiesa per poter collaborare alla propria liberazione, donando la volontà di conversione profonda a Cristo.
A questo punto il n. 16 del DESQ fornisce i segni per la diagnosi di una possessione. Tali segni, dice il Rituale, provengono da una prassi consolidata, la fonte quindi è l'esperienza plurisecolare della Chiesa. I segni sono:
Parlare o comprendere lingue ignote.
Rivelare cose occulte e lontane.
Mostrare forze superiori per condizione ed età.
Il valore di tali segni, è detto espressamente, è indiziario, perciò bisogna ricorrere ad altri segni soprattutto d'origine morale e spirituale e possono essere: forte avversione a Dio, Gesù, Maria, Santi, Parola di Dio, realtà sacre, soprattutto ai Sacramenti, immagini sacre. In una sola espressione si tratta di “avversione al sacro”.
E importante prestare attenzione al rapporto tra questi segni con la fede e l'impegno spirituale nella vita cristiana, in quanto il Maligno è nemico di Dio e dei mezzi divini di salvezza.
Il n. 17 del DESQ prescrive, per ogni caso sospetto di possessione diabolica, che l'esorcista, per quanto possibile, consulti prima persone esperte in questioni di vita spirituale e, se necessario, persone esperte in medicina e psichiatria, competenti nelle realtà spirituali. Solo allora, con prudenza, dopo attento esame può concludere sulla necessità di ricorrere all'esorcismo.
E un nuovo invito alla prudenza ed alla cautela. L'esorcista dovrebbe sempre consultarsi con esperti. Essi sono di due tipi: esperti di vita spirituale (solo nella misura della possibilità), esperti in medicina e psichiatria con competenza nelle realtà spirituali (solo se necessario).
L'esorcista dovrebbe poter lavorare in équipe con esperti in vita spirituale, tuttavia ci sembra che il suo ricorso continuo comporti una competenza specifica anche nelle realtà della possessione, ed in genere questi sono esorcisti. Potrebbe configurarsi, invece un rapporto del tipo “operatore” e “supervisore”, che mantenendo il distacco necessario funga da riferimento meno coinvolto e quindi più oggettivo.
Ci sembra che il riferimento più sicuro sia un sacerdote che da tempo pratichi esorcismi o li abbia esrcitati a lungo.
Un suggerimento in tal senso viene indirettamente dal DESQ n. 18: in « casi particolarmente difficili si ricorra al Vescovo della Diocesi, il quale per prudenza potrà richiedere il parere di alcuni esperti prima di decidere se fare l'esorcismo ».
Si può affermare, pertanto, che gli esperti di spiritualità, di cui parla il DESQ n. 16, siano i vescovi e gli stessi esorcisti con provata esperienza.
Per quanto riguarda gli esperti in scienze mediche e psichiatriche, il Rituale indica la necessaria competenza in campo spirituale. Non basta quindi la competenza professionale specifica, ma il perito deve conoscere non solo la fede, ma anche le dinamiche spirituali nell'ottica antropologica e religiosa cattolica, distinguendo inoltre ciò che attiene al dato psicologico‑psichiatrico da quello spirituale.
Tale requisito sembra postulabile dal fatto che specie in campo psichiatrico vigono principi che non possono accettare il fenomeno stesso della possessione diabolica. Uno dei fondamenti di alcune aree scientifiche e culturali è il relativismo interpretativo, per cui sono possibili diverse letture metaforiche dello stesso fenomeno; oltre a quello, anche il relativismo psichiatrico rende incompatibile l'approccio di collaborazione e complementarità. Tale principio asserisce che « nessun comportamento può essere giudicato anormale finché è accettato dalla società nel quale avviene »;47 il posseduto è in una situazione negativa, patologica, solo perché la società cui appartiene lo ritiene negativo (es. cultura cattolica), ma non costituisce un problema, né può essere considerata negativa in un'altra dove la possessione costituisce un atto di integrazione sociale (sciamanesimo, pratiche voodoo).
La necessità della competenza nelle realtà spirituali richiede quindi conoscenze specifiche del medico e dello psichiatra in quanto sono chiamati a dare un parere che fornisca informazioni sull'esistenza o meno di patologie. L'esorcista è chiamato a dare un giudizio morale certo sull'eventuale possessione diabolica. Essa può essere solo un caso di falsa possessione, ma può trattarsi anche, ed il caso non è infrequente, di una patologia che si accompagna alla possessione, oppure di vere patologie il cui agente scatenante è l'entità spirituale diabolica.
In sintesi, il primo elemento che emerge dall'insieme della normativa liturgica del nuovo Rituale è l'insistenza alla cautela nel procedere alla celebrazione dell'esorcismo, inteso come forma imperativa, come extrema ratio nei casi in cui, dopo aver espletato diversi tipi di indagine, l'esorcista giunga alla conclusione moralmente certa della vera possessione diabolica.
Nei quattro punti esaminati (DESQ nn. 14‑17) sono sette le volte in cui si torna al concetto di cautela.48
Questo richiamo insistente alla cautela non è giustificato se non dalla preoccupazione di considerare erroneamente, come interventi demoniaci, cause che sono invece da riferirsi alla credulità, all'immaginazione, alla patologia medica o psichiatrica. È facile pensare come il progresso delle scienze umane abbia in modo notevole ridotto le spiegazioni diaboliche di molti fenomeni, ma non è del tutto estraneo alle preoccupazioni riscontrabili nel DESQ il clima culturale degli ultimi decenni in cui il “demoniaco” ha fatto irruzione prepotente creando una temperie culturale meno serena per poter affrontare in modo ordinato, con i mezzi della teologia spirituale, dei Sacramenti e dei sacramentali, i problemi che da sempre il Maligno pone ai figli di Dio.
La Lettera della Congregazione della Fede del 1985 è un segnale chiaro di un fenomeno che rischia di polarizzarsi su due estremismi: da una parte il progresso scientifico–tecnologico, che non sembra rinunciare a delimitare il campo della fede nelle esigenze dell'irrazionalità e della pura soggettività, dall'altro la superstizione e il gusto per l'esoterismo e la magia fino al satanismo, il quale ha sorprendentemente ritrovato nuove linfe nutritive. Questi fatti hanno causato una ricerca, nei fedeli, di strumenti tradizionali della preghiera, ma senza dubbio in una società cambiata, frammentata, multi‑etnica e multi‑culturale. La paura, l'ignoranza religiosa e l'irrazionalità spingono i singoli, ed a volte i gruppi, a cercare spiegazioni e soluzioni per lo più presso “agenzie del sacro” improvvisate, e sovente inficiate da esoterismo e magia. Non sorprende che quando l'approdo avviene presso la Chiesa, lo stesso atteggiamento sia rivolto verso il sacerdote, cui si guarda come a colui che, come lo sciamano, il mago, il cartomante, può dare la soluzione al proprio problema a buon mercato, cioè senza toccare la necessità dell'impegno alla conversione profonda a Cristo. Pensiamo che in tal senso possa essere spiegato ciò che lo stesso Rituale afferma: « L'esorcismo si svolga in modo che manifesti la fede della Chiesa e impedisca di essere interpretato come atto di magia o di superstizione ».

2.    La questione dei malefici.
Nella prima edizione tipica del nuovo Rituale (DESQ 1999) al n. 15 troviamo scritto:
“Recte distinguat casus impetus diaboli ab illa credulitate qua quidam, etiam fideles, putant se esse obiectum maleficii, malae sortis vel maledictionis, quae sint ab aliis allata super ipsos vel propinquos vel bona eorum.”

Il testo si può tradurre con: [L’esorcista] distingua giustamente il caso di attacco del diavolo da quella credulità per la quale alcuni, anche fedeli, giudicano di essere oggetto di maleficio, di sfortuna o di maledizioni, che sarebbero gettate su di loro o i parenti o i loro beni.”
Questa frase diede luogo all’interpretazione che escludevano l’esistenza dei malefici e delle maledizioni, in quanto tale. A fianco ad essa rimaneva quella tradizionale che non nega l’esistenza di tali attività, che gli esorcisti conoscono assai bene, per cui ciò che bisognava distinguere è la credulità che in modo acritico fa pensare alla gente che ogni difficoltà od evento si da imputare a malefici ecc.  Questo tipo di credenza superficiale fa ricorrere immediatamente all’esorcista per scongiurare la maledizione a prescindere dall’analisi se il maleficio sia stato fatto o meno.

L’espressione ab illa credulitatei, in effetti, dà adito all’opinione che il malefici ecc. siano frutto di credulità, ovvero di una propensione troppo facile e ingiustificata a credere a tali cose.
Il soccorso è venuto dall’edizione tipica del 2004 del DESQ, nella quale troviamo sostituita l’espressione  ab illa credulitate con a falsa opinione vale a dire che l’esorcista deve distinguere quando vi sia un attacco del demonio dal caso della opinione sbagliata che la persona può avere ritenendo di essere vittima di un maleficio, mentre non lo è: in tal caso, prosegue il Rituale, non bisogna fare l’esorcismo. Infatti sarebbe un uso improprio di tale preghiera, con l’effetto di accontentare la persona, ma anche di mantenerla nella mentalità superstiziosa e lontana da un vero cammino di fede.

3.     L’esorcismo di Leone XIII
Nella I Appendice, Supplicatio et exorcismus qui adhiberi potest in peculiaribus adiunctis ecclesiæ, “Supplica ed esorcismo che può essere usato in particolari circostanze della Chiesa”, viene riproposto l'esorcismo di Leone XIII, presente nel III capitolo del Titolo riguardante gli esorcismi del RR, e che era intitolato Exorcismus in Satanam et Angelos apostaticos, ovvero “Esorcismo contro Satana a gli angeli apostatici”.

A proposito di questo esorcismo, composto da Leone XIII, un autore (Dondelinger‑Mandy) afferma che esso andò a sostituire gli antichi esorcismi contro le tempeste. Nel XIX secolo, scrive l'autore, il diavolo non nuoce più nelle tempeste ma con l'apostasia atea, l'anticlericalismo e le sette sataniche (la massoneria), e sono queste ad essere combattute con l'esorcismo. Non ci sembra possibile ravvisare una sostituzione: il precedente RR conteneva al Titolus X, cap. 8 una processione contro i temporali, mentre erano già scomparsi gli antichi esorcismi contro le tempeste. Quello di Leone XIII non è una sostituzione, ma un'aggiunta che trova la sua motivazione probabile contro idee, movimenti e associazioni dichiaratamente avverse alla Chiesa.

Il precedente Rituale Romanum, alla rubrica, chiariva chi poteva recitarlo, ossia i Vescovi e quei sacerdoti autorizzati da loro, ma non si preoccupava di informare circa la destinazione di questa preghiera. Il DESQ invece ha cura di specificare l'uso a cui è adibito:
« La presenza del Diavolo e di altri demoni si manifesta e si concretizza non solo nel caso di persone tentate o possedute, ma anche quando cose e luoghi sono fatti in qualche modo oggetto dell'azione diabolica, come pure nelle varie forme di avversione e persecuzione nei confronti della Chiesa. Se, in particolari circostanze, il Vescovo della diocesi ritiene opportuno convocare i fedeli per pregare sotto la guida del sacerdote, si potranno utilizzare a tale scopo elementi da scegliere tra quelli qui proposti » (DESQ, Appendice I, n. 1).
Dopo questa rubrica seguono le istruzioni per condurre il rito con l'assemblea di fedeli. Il testo del n. 1 sopra citato indica due modi di azione diabolica: oltre a quello sulle persone, cioè la possessione di cui si occupa prevalentemente il DESQ, il demonio può agire su cose e luoghi; inoltre è possibile ravvisare la sua azione nelle varie forme di avversione e persecuzione contro la Chiesa.
Il rito che segue ci sembra adatto per questa seconda ipotesi, in cui la collettività, i fedeli di una diocesi, sono chiamati a pregare in questo modo speciale se il Vescovo lo ritiene opportuno: si tratta di un pericolo che deve allora riguardare la comunità dei fedeli e che sia percepibile come tale da essi.
Diverso, invece è il caso dell'azione demoniaca in un luogo o in un oggetto: a meno che questo non abbiano una valenza comunitaria, non ci sembra opportuno ad esempio convocare l'assemblea per ordine del Vescovo perché una casa, o un oggetto, mostra di essere bisognoso di esorcismo. In tal caso gli elementi dell'Appendice I possono essere utilizzabili nella forma consueta dell'esorcismo sugli ossessi: il sacerdote incaricato, ed il fedele interessato insieme a poche persone, in modo riservato procedono alla benedizione del luogo o della cosa interessata.
Questo esorcismo è importante per tutti quei casi che sono chiamati infestazioni e che, con certezza morale, possono attribuirsi direttamente all'azione del diavolo. Spesso le persone possedute, riscontrano problemi anche nei luoghi in cui vivono e lavorano, specie quando si tratta di un maleficio. Il maleficio, infatti, ha lo scopo di colpire le persone attraverso gli oggetti, quelli più adatti risultano le cose o i luoghi dove la permanenza o il contatto siano più prolungati.
Riteniamo quindi che le preghiere ed esorcismi dell'Appendice I siano utilizzabili in un doppio contesto: quello del pericolo generico contro la Chiesa e deve essere fatto, se il Vescovo lo ritenga opportuno, in forma assembleare; quello delle infestazioni di luoghi e cose, che per sua natura richiede la riservatezza analoga all'esorcismo sugli ossessi. Il CCC al n. 1673, dando la definizione di esorcismo, fa riferimento, oltre alle persone, anche alle cose.
Nel Benedizionale vigente sono però stati tolti tutti gli esorcismi. Il caso delle infestazioni diaboliche, ossia l'azione del demonio sulle cose e i luoghi, pone la necessità di un rimedio adeguato, che lo stesso Catechismo della Chiesa cattolica indica. Questa lacuna sembra essere stata colmata dal DESQ con la doppia destinazione dell'esorcismo detto di Leone XIII.

4.     Le preghiere ad uso privato dei fedeli
Nella Appendice II compaiono le “Suppliche che possono essere usate privatamente dai fedeli nella lotta contro le potenze delle tenebre”.
Bisogna notare che l’impostazione è personale: tutte le preghiere sono a favore dell’orante stesso e non per un’atra persona. Quindi vanno intese come preghiere che ogni fedele può usare quando è personalmente attaccato dal maligno, ma non per terze persone. Le preghiere possono essere fatte anche in più persone, ma sempre per un beneficio richiesto per se stesse.( Es. Ora pro nobis vel  me).


       B. PREGHIERA DI LIBERAZIONE.

1.    Liberare da chi, e da che cosa.
Liberazione anzitutto fa riferimento ad una situazione di prigionia, uno stato di mancanza di libertà, di impedimento alla libertà.
Per i fedeli la libertà è quella che ci consente di “servire Dio in santità e giustizia per tutti i nostri giorni”. Vi è dunque un riferimento al servizio di Dio per compiere la sua volontà ed attuare il suo Regno in noi e in mezzo a noi.
Il Regno in noi realizza uno stato di vicinanza stabile ed intimo di Dio, che noi chiamiamo comunione, perché otteniamo dei beni spirituali tali da realizzare una trasformazione progressiva in figli di Dio. Dio Padre ci dona la comunione con lui e ci santifica ovvero ci rende sempre più simili a lui e più uniti a lui. Tale unione si realizza mediante i Sacramenti e con l’esercizio delle virtù teologali portate a maggior perfezione durante la vita terrena.
Sappiamo che tale libertà dei figli di Dio è stata minata nelle sue fondamenta dal Satana con l’introduzione del peccato nella coppia dei progenitori. Da quel momento, tutta l’umanità e la creazione rimasero sotto la schiavitù del peccato. La conseguenza teologica del peccato è la separazione da Dio e la perdita di tutti i beni spirituali fino a culminare con la morte eterna, ossia la separazione da Dio senza rimedio per sempre.
Questo è l’obiettivo ultimo del demonio sui singoli uomini e sulle masse. Tutta la sua attività dopo il peccato dei progenitori fu rivolto a mantenere l’uomo distante da Dio. Il suo tentativo fu ed è sempre quello di impedire che l’uomo veda il volto del Padre e torni a lui. A Satana che significa nel nome “ostacolo, impedimento”, occorre che il volto del Padre sia deformato e odiato, far rigettare su di lui la causa del male che l’umanità sperimenta e rendere colpevole l’uomo di bestemmia e odio contro il Creatore.
Chi rivela il volto del Padre è Gesù Cristo, egli è colui che compie la volontà del Padre e mediante l’obbedienza perfetta realizza la comunione con lui anche come uomo. Per mezzo del suo sacrificio santo ed immacolato redime, vale a dire paga il riscatto del potere che Satana ha sull’uomo e lo libera dalla schiavitù del peccato e dunque dal potere nefasto del demonio. Gesù con la comunione del suo sangue, ci rende figli adottivi ed eredi del Regno, con una caparra già qui sulla terra.
Se Gesù è allora il salvatore, il liberatore delle nostre povere anime prigioniere, è chiaro che l’ostacolo, il satana, cerchi di oscurare la Via salvifica che è il Cristo, nella ragione e nella esperienza degli uomini. Egli cerca di allettarli al peccato per privarli della grazia redentrice, si oppone con tutti i mezzi alla via di grazia che deriva dal battesimo e dagli altri sacramenti. A questo scopo usa tutti i mezzi, culturali, psicologici e spirituali per impedire che gli uomini attingano alla fonte che li può rendere liberi.

2.    Chi è tenuto prigioniero e chi può essere liberato
Il prigioniero è colui che vive schiavo del peccato. Solo chi cerca di liberarsi o mantenersi libero sa quale forza possiede il peccato, in particolare quello abituale, che si connatura fino a divenire vizio. La prima esperienza di liberazione si ha quando si prende seriamente in considerazione la grazia che viene dal battesimo e si ottiene con la sinergia della nostra volontà uno stato di libertà. Esso richiede poi continua vigilanza e preghiera per avere da Dio gli aiuti necessari a rimanere nella sua comunione durante la vita terrena. Si realizza quel combattimento spirituale che, da S.Paolo in poi, i mistici hanno insegnato ad intere generazioni di cristiani.
Il peccato ed il vizio sono dunque la porta attraverso la quale il nemico “l’omicida fin dal principio” entra nell’intimo della persona e lo mette in uno stato di sudditanza per un potere di conquista acquisito. Anziché la vicinanza con Dio si ha quella del demonio, al posto delle sante ispirazioni si hanno i cattivi pensieri, l’odio, l’invidia, le passioni e le depravazioni. L’anima ormai privata della luce vive nelle tenebre, offuscata ed ingannata verso falsi beni, e poi indotta sempre più al vizio ed innamorata del peccato, che l’attrae e la disgusta al tempo stesso. L’assuefazione la rende poi progressivamente sempre più insensibile ai richiami dolorosi della grazia. Ormai la persona così ridotta vive nell’illusione di una autonomia da Dio e secondo la propria ragione e il proprio volere.

3.    Varie forme e gradi di prigionia
Il demonio spinge tutti al peccato; tenta ogni uomo per trovare il suo punto debole per farlo cedere e invischiarlo così in modo progressivo in peccati sempre più gravi. Quanto più una persona pecca gravemente, tanto più gli aiuti della grazia sono difficili da vedere e desiderare. Il peccato che rimane a lungo ed è ripetuto, radica nell’anima umana un potere oggettivo di Satana, il quale non ha  da fare altro che mantenere la sua vittima in tale decadimento fino a farlo morire in stato di peccato grave. Potendolo controllare durante la vita terrena, tale persona diventa comunque un suo strumento a seconda della sua unione con il demonio e della sua lontananza da Dio.
Questa linea di condotta del nemico si chiama ordinaria, cioè è il modo più diffuso con cui agisce sulle persone. Il fatto che sia ordinaria non deve far confondere con l’opinione di un risultato mediocre: il mondo contemporaneo mostra come ordinariamente la gente viva lontano d a Dio e succube del demonio.
Il nemico dell’uomo agisce però anche in modo “straordinario”, in altre parole con mezzi non comuni contro l’uomo. Le persone allora possono essere attaccate con una veemenza assai forte a livelli diversi. Possiamo immaginare l’essere dell’uomo composto a strati. Un livello materiale, uno psichico e morale ed uno spirituale. L’azione demoniaca svolge attacchi nelle tre dimensioni, sapendo bene che non sono affatto disgiunte, ma ogni azione ha comunque una ripercussione a livello profondo, cioè quello spirituale. Quanto più si fa insistente il martellare dei suoi colpi, tanto più l’anima può risentirne ed arrivare per disperazione, per debolezza o per stanchezza a cedere alla disperazione, ed alla mancanza di fiducia in Dio. Quando il nemico riesce ad intaccare queste zone teologali della fede, speranza e carità, allora la sua vittoria è vicina, perché riesce così ad indurre l’anima in grazia a cedere al peccato. A questo punto, quando vi è il cedimento col peccato, la sua azione diventa devastante e l’anima viene ferita e indotta a peccare più gravemente: le conseguenze sono a tutti i livelli, materiale, morale e spirituale. Dall’esterno si può notare un cambiamento della vita, del comportamento, delle scelte morali, un raffreddamento generale della carità: la persona può diventare irriconoscibile agli stessi famigliari. Il controllo del demonio sulla persona può aumentare arrivando a conseguenze sempre più estreme. Per questo motivo parliamo di gradualità del suo intervento. La gradualità è importante perché i mezzi di risoluzione della Chiesa sono diversi.
Distinguiamo l’azione demoniaca allora non per la sua finalità generale, quanto per il suo livello d’intervento per quell’anima particolare. Il nemico dell’uomo può agire a livello locale, quando infesta luoghi: abitazioni, ambienti di lavoro ecc. con varie manifestazioni, rumori, passi, colpi, movimenti di oggetti, tracce inspiegabili, infestazioni di animali, generalmente insetti o vermi, macchie su muri o mobili ecc. Si tratta di infestazioni locali, ma non bisogna dimenticare che l’obiettivo sono sempre gli uomini. Queste infestazioni possono essere solo il riflesso di un attacco ancora superficiale sulle persone, ma anche accompagnarsi a danni più gravi già inferti sugli abitanti o qualcuno di essi.
Gli attacchi posso essere portati direttamente sul corpo delle persone: sono le vessazioni. Le persone avvertono colpi, percosse, spinte per farli cadere o ruzzolare per le scale. Possono comparire tagli graffi, punture come di insetti simili a serpenti o scorpioni, i colpi possono oltre che essere sentiti, resi visibili per i lividi e gli arrossamenti che improvvisi compaiono anche davanti agli occhi di terzi. I danni sulle persone possono essere davvero tanti, da gonfiamenti improvvisi di stomaco e ventre, senso di soffocamento fino a far diventare paonazzo il volto, quasi che una mano stesse artigliando la gola ecc. fino ad arrivare a malattie anche gravi. L’inspiegabilità dei fenomeni e spesso l’insensibilità al trattamento medico sono causa nella stragrande maggioranza dei casi di uno stato di sfinimento spirituale e morale fino ad arrivare alla disperazione.
Questo risultato spirituale viene perseguito con tenacia dal demonio quando attacca nei pensieri le persone: si tratta di vessazione nel pensiero, o come preferiscono definirle un gran numero di esorcisti, di ossessioni. L’ossessione così intesa è caratterizzata da un ritorno martellante di pensieri che inducono al peccato. Spesso persone abituate a vivere diligentemente nella grazia con frequenza assidua ai sacramenti si ritrovano con pulsioni così forti al peccato che in realtà non vogliono commettere, ma che si presentano con una forza così grande da far pensare di non potere vincere (sono le tentazioni straordinarie, non per la stranezza quanto per l’impeto e la continuità ossessiva con le quali si presentano). I pensieri più gravi che purtroppo si presentano sono quelli di omicidio e di suicidio. Sono talmente forti che la persona è indotta a pensare che solo con l’acconsentimento alla pressione potrà trovare sollievo. Non si tratta dunque di un gusto di quel peccato quanto la spinta straordinaria a commetterlo nell’illusione disperata di trovare pace.
Un grado più estremo viene detta possessione demoniaca. Si tratta di azione che è arrivata più in profondità nella persona. L’anima è ancor più circondata, assediata, e il livello corporeo-psichico può essere tenuto completamente sotto controllo da demonio che allora agisce con le facoltà di quella persona, facendola muovere e parlare a suo piacimento senza che la persona acconsenta minimamente a ciò. E’ importante ribadirlo, perché spesso si confonde la persona posseduta con la persona malvagia che si è fatta volontariamente strumento di Satana. Il posseduto è invece colui che con  delle responsabilità remote o meno subisce questo attacco, ma non per questo ha consegnato la sua libertà ed il suo deliberato consenso.
Questa situazione terribile si verifica a tratti durante uno stato particolare nel quale alla personalità si sovrappone quella del demonio. La persona allora si dice “in stato di possessione” o di trance. Questa situazione può essere breve o lunga, ma è caratterizzata dall’intermittenza con uno stato di normalità relativa. Diciamo relativa perché in genere le persone sono sempre sottoposte agli altri gradi di attacco inferiori o più esterni che abbiamo menzionato sopra.
Purtroppo a questo stato intermittente può accadere di arrivare ad una cadenza sempre maggiore, fino a quando lo stato di possessione è stabile. L’esempio evangelico più illuminante è quello dell’indemoniato di Gerasa descritto in Luca (Lc 8,26‑39; cf Mt 8,28‑34; Mc 5,1.20).
Non si può definire posseduto, la persona che deliberatamente si dà al maligno, con patto esplicito o implicito, in ogni modo facendosi volontariamente strumento e collaboratore di male. Per queste persone non si può parlare di assedio dell’anima, perché il centro della volontà, dove si decide per il bene e per il male è un tutto col demonio.

4.    Preghiera di liberazione
I mezzi per contrastare tali azioni demoniache sono quelli che il Liberatore per eccellenza ci ha offerto. Gesù Cristo, portando i nostri peccati, ci salva anche dal dominio del peccato, e attraverso di esso dal potere del demonio. Il fatto di essere battezzati e redenti, non ci toglie dallo stato di debolezza spirituale e morale, perciò il percorso della vita spirituale ci impegna seriamente a ricorrere ai Sacramenti della Chiesa. Per mezzo dei Sacramenti dell’Iniziazione cristiana “gli uomini, uniti con Cristo nella sua morte, nella sua sepoltura e risurrezione, vengono liberati dal potere delle tenebre” (Rito del battesimo dei bambini, n. 1; Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti [RICA], n.1). Il Rito del Battesimo dei bambini prevede un esorcismo prebattesimale dove si chiede a Dio che ha mandato nel mondo il suo Figlio “per distruggere  il potere di satana, spirito del male” di liberare quel bambino dal peccato originale e di “liberarlo dal potere delle tenebre” ( Ivi nn. 56,57. Cf RICA, n. 255)) Il Sacramento della riconciliazione, quando ben vissuto, chiude di volta in volta quelle aperture, fossero anche fessure attraverso cui il fumo di Satana può entrare. Questo vale come prevenzione agli attacchi straordinari, ma è fondamentale anche per la cura o liberazione: non ci può essere vera liberazione dal demonio se nell’anima rimane l’affezione al peccato o addirittura il consentimento ad esso. Questa cattiva inclinazione ci rende vulnerabili, perché il nemico ha una “testa di ponte” in noi, quasi dei complici. Per cui l’ambiguità è spesso la causa del perdurare nel tempo delle vessazioni demoniache e oltre. La preghiera personale, assidua e fatta con fede in preparazione e come conseguenza del Sacramento dell’Eucarestia unendoci a Dio mediante Cristo ci difende e ci libera “Sottomettetevi a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi fuggirà da voi, avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi” (Gc 4,7-8). La S. Messa, in se stessa è il Ringraziamento al Padre per il dono del Sacrificio del Figlio che ci ha liberati con la sua passione e morte, che viene riattualizzata nella Messa stessa. L’atto penitenziale al suo inizio non fa che celebrare la nostra volontà di essere perdonati in Cristo, e preparati per il nutrimento spirituale che ci rende forti in lui perché uniti a lui, innestati come tralci alla vite. Questa ricchezza spirituale da cui scaturisce il battesimo viene in modo chiaro celebrato liturgicamente nella S. Messa della notte di Pasqua, dove vengono riaffermate le rinunce battesimali e la scelta per Dio col simbolo di fede, il Credo. In quanto preghiera cristiana per eccellenza inserita nella liturgia fondamentale dell’Eucarestia, la richiesta di liberazione dal Maligno è ciò che noi dobbiamo fare rivolti al Padre, essa viene esaudita per mezzo del Figlio principalmente nel mistero eucaristico, che ci dona lo Spirito. L’embolismo del celebrante, alla preghiera dominicale, enfatizza la domanda di liberazione:
“Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni e con l’aiuto della Tua misericordia vivremo sempre libera dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo.” (Cf. Messale Romano; CCC 2854).
Tra le preghiere non si possono dimenticare i Salmi, alcuni dei quali specificamente chiedono la liberazione dal nemico persecutore come il 3, 10, 12, 21, 30, 34, 67, 90, ma la recita stessa della Liturgia delle Ore, non ultimo il S. Rosario, meditato, come affidamento delle nostre necessità, le tribolazioni alla Madonna, colei che fu prefigurata in Gn 3,14 e che percorre tutta la storia dell’umanità come Immacolata vincitrice sul tentatore, rimane per la Chiesa la Donna vestita di sole che fino alla battaglia finale aiuta e conduce le schiere degli eletti nella lotta contro il drago (Cf Ap 12).
In una parola, la vita del cristiano è lotta contro il maligno con i mezzi della salvezza donati da Cristo alla sua Chiesa: dal battesimo in poi tutto concorre alla liberazione. Quanto più ricorriamo alla grazia tanto più il nemico infernale, già sconfitto da Cristo, viene sconfitto anche da noi in quanto uniti misticamente al liberatore.
Il nuovo Rituale (DESQ 1999,2004) nella Appendice II, offre una serie di suppliche e preghiere che i fedeli singolarmente o il gruppo possono adoperare quando sono personalmente attaccati dal demonio. Nelle preghiere non compare l’evenienza di pregare per qualche altra persona, ma il fedele o i fedeli pregano per se stessi. Si presume che l’attacco dal demonio sia quello ordinario e dunque i fedeli siano in grado di pregare da soli o in gruppo, ma non siano bisognosi di un intervento di liberazione o di esorcismo, ossia di qualcuno che preghi per altri. In tal caso si verificherebbe la situazione o dell’esorcismo o della preghiera di liberazione regolate in modo diverso. ( Es. Ora pro nobis vel  me).

5.    Preghiera di liberazione ed esorcismo
Parlare di preghiera di liberazione obbliga ad affrontare la preghiera di esorcismo, perché l’oggetto al riguardo è lo stesso: il diavolo che in modo straordinario attacca la persona. Quello che cambia è solo il grado di profondità della portata offensiva satanica. Col grado maggiore aumentano le manifestazioni della presenza malefica che si caratterizzano principalmente con lo stato di possessione. Nello stato di trance il demonio può manifestarsi direttamente parlando per bocca del posseduto, ed i fenomeni straordinari possono aumentare. Per questi casi che sono detti di possessione diabolica, è previsto l’esorcismo, che deve essere fatto con l’apposito Rito (DESQ 2004). Il rituale presenta una serie di preghiere deprecatorie, in cui non è usata la formula imperativa diretta contro il diavolo, ma si ricorre all’intercessione della B.V. Maria e dei Santi. Poiché tali preghiere possono essere usate anche nei casi di non possessione, mentre quelle imperative solo nei casi certi di possessione, qualcuno deduce che quelle siano preghiere di liberazione che tutti i sacerdoti possono usare, e sono identificate come “preghiere di liberazione” svincolabili dal Rito del Grande Esorcismo e dunque utilizzabili in ogni caso occorresse intervenire su persone vessate, ma non possedute dal demonio.
In realtà sembra che lo spirito con cui è stato redatto il Rituale consideri entrambe le categorie di preghiere come facenti parte di un unico rito e non disgiungibili fuori del rito stesso, anche se le preghiere deprecatorie possono essere fatte senza aggiungere quelle imperative, il contesto in cui sono fatte è sempre quello dell’esorcismo, quello cioè in cui si procede a tal scopo.
28. “Denique dicit formulam deprecativam, qua Deus rogatur, necnon formulam imperativam, qua diabolus, in nomine Christi, directe adiuratur, ut a vexato recedat. Formula imperativa ne utatur nisi præmissa formula deprecativa. Formula vero deprecativa etiam sine imperativa adhiberi potest.” (DESQ).
L’esperienza degli esorcisti è comune nel constatare che una possessione non sempre si manifesta immediatamente: procedendo con le preghiere, quella che poteva sembrare solo vessazione od ossessione col tempo si può rivelare come una possessione anche grave, anzi più l’azione demoniaca è radicata nella profondità, più riesce a celarsi per impedire di essere portata alla luce.
Questo fatto spiega anche la contiguità che c’è tra liberazione ed esorcismo.
Se è chiaro che la preghiera di liberazione non è una preghiera specifica per casi peculiari, ma è la preghiera ordinaria del cammino cristiano, occorre allora riconoscere che i casi di vessazione (non possessione) appartengono ad un intervento straordinario del demonio, non diverso da quello ordinario, ma più forte e più feroce. Più che preghiere specifiche, occorre invece intensificare la vita spirituale, mediante i mezzi ordinari (Sacramenti), con l’aggiunta di intenzioni specifiche nel pregare e di benedizioni e preghiere fatte da sacerdoti, meglio ancora se uniti a gruppi di fedeli che generosamente intercedono e si sacrificano per questi fratelli. Se si guarda il Rito di esorcismo (DESQ 2004), prima di iniziare l’esorcismo vero e proprio che comprende sia le preghiere deprecatorie che imperative.
Le preghiere per la liberazione presentano:
•l’aspersione con acqua benedetta
•litanie dei Santi
•salmi
•Imposizione delle mani del sacerdote per invocare lo Spirito Santo
•Recita del Simbolo, promesse battesimali e rinuncia a Satana
•Recita del Padre Nostro
•Il sacerdote mostra la croce e traccia sul fedele tormentato il segno della croce.

Queste preghiere sono proprie del cristiano, ed a parte l’imposizione delle mani del sacerdote, ogni cristiano può recitarle per sé e per altri



       C. MESSE E PREGHIERE COMUNITARIE DI LIBERAZIONE

1. Messe di Liberazione?
La Chiesa non contempla nella liturgia preghiere specifiche di liberazione, possiede invece riti e preghiere per la guarigione dalla malattia: santa Messa, benedizione dei malati, unzione degli infermi.
Per l’esorcismo esiste l’apposito rituale, nella Edizione Tipica del 2004. Pur avendo nei primissimi rituali che precedettero quello del 1614 al titolo sull’esorcismo anche delle messe specifiche a favore degli esorcizzandi posseduti, tuttavia la Chiesa non ha ritenuti di mantenerli.
Considerando la liturgia a prima vista potremmo pensare che esista una lacuna per un settore di persone che hanno bisogno della liberazione dal maligno che non sono gli ammalati e non sono i posseduti. Così impostate le considerazioni a riguardo rischiano di avviarsi su terreni non sicuri e contraddittori, con ciò si comprende la proliferazione di preghiere sorte in ambito devozionale privato volte alla liberazione dal maligno di persone coinvolte da questo male spirituale.
In realtà il concetto di liberazione dal male inteso come maligno è presente in modo espresso nella preghiera del Padre Nostro. Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2851, commentandola, insegna che “In questa richiesta, il Male non è un’astrazione; indica invece una persona: Satana, il Maligno, l’angelo che si oppone a Dio. Il «diavolo» [«dia-bolos», colui che «si getta di traverso»] è colui che vuole ostacolare il Disegno di Dio e la sua opera di salvezza compiuta in Cristo.”
In quanto preghiera cristiana per eccellenza inserita nella liturgia fondamentale dell’Eucarestia, la richiesta di liberazione dal Maligno è ciò che noi dobbiamo fare rivolti al Padre, essa viene esaudita per mezzo del Figlio principalmente nel mistero eucaristico, che ci dona lo Spirito. L’embolismo del celebrante, alla preghiera domenicale, enfatizza la domanda di liberazione:
“Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni e con l’aiuto della tua misericordia vivremo sempre libera dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo.” (cf. Messale Romano; CCC 2854).
Anche il rito del Battesimo dei bambini e degli adulti presenta un esorcismo per la liberazione dal maligno. La rinuncia a Satana e la professione di fede caratterizzano il rito per quanto riguarda l’intenzione del fedele che deve esprimere con chiarezza e fermezza a quale area spirituale appartenere: se a quella del tentatore che con l’inganno ha sedotto l’umanità o a quella di Dio che con il sacrificio del Figlio liberamente ci chiama alla verità e alla santità.
Altro sacramento di liberazione che è strettamente connesso al Battesimo è quello della Penitenza o Riconciliazione. In esso il fedele confessa il peccato che è allontanamento da Dio e adesione al male libera, volontaria, deliberata. Confessando questo e pronunciando con le parole e con il cuore l’atto di dolore, il fedele intende ritornare a quel Dio che lo aveva già liberato con il Battesimo.
A conferma di quanto esposto è sufficiente vedere il rito della Messa della notte di Pasqua nel quale viene rinnovato e accentuato il doppio movimento della Grazia di salvezza e della volontà di adesione ad essa dell’uomo. Basti ricordare il rito del lucernario e la Rinnovazione delle promesse battesimali fatto in modo solenne: “Rinnoviamo le promesse del nostro Battesimo, con le quali un giorno abbiamo rinunziato a satana e alle sue opere e ci siamo impegnati a servire fedelmente Dio nella Santa Chiesa cattolica”. Nell’Exultet si proclama che: “Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti.”
Questo doppio movimento in realtà come si è detto avviene in ogni santa Messa, in particolare in tre punti i fedeli esprimono la loro intenzione: nell’atto penitenziale, nel Padre Nostro, nel cui embolismo viene rimarcata dal celebrante la richiesta di liberazione dal maligno ed infine nello scambio della pace.
A ben vedere il centro della liturgia della Chiesa esprime la richiesta di liberazione da parte dei fedeli e il sacramento attua quanto domandato. Non si può allora assolutamente considerare lacunosa la preghiera della Chiesa per quanto riguarda la liberazione dal maligno.
Con ciò si può comprendere il motivo per cui non esiste nella liturgia una Messa propria per la liberazione dal maligno: la sua eventuale presenza potrebbe far pensare che la Messa di per se stessa è aliena dal procurare una liberazione.
E’ ben vero, invece, che è possibile applicare sia da parte del celebrante che dei fedeli l’intenzione dei frutti della Messa. Come si applica a beneficio dei defunti o dei vivi, degli infermi, o per la pace, e così via, come il Messale Romano prevede, allo stesso modo si può applicare l’intenzione per la liberazione di una o più persone attaccate o possedute dal maligno. Lo stesso rito per gli esorcismi prevede inoltre l’applicazione da parte dei fedeli e anche delle persone attaccate dal maligno penitenze, digiuni ed elemosine, oltre alle preghiere personali.
La preghiera del Padre Nostro alla quale è abilitato ogni battezzato è ovviamente la preghiera che per eccellenza può e deve essere usata da qualsiasi fedele nella richiesta per sé e per gli altri della liberazione dal maligno. Ciò può essere fatto nella devozione personale ma anche in gruppo secondo il detto di Gesù “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli, ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro.” (Mt 18,19-20) .

Assodato che la Chiesa non presenta dunque una lacuna per quanto riguarda la preghiera di liberazione, rimane sotto gli occhi di tutti la grande pratica di questo tipo di preghiere, cui fa seguito anche una buona produzione stampata che viene esercitata da gruppi in riunioni di preghiera a volte anche in contesto liturgico: non è raro sentire parlare di Messe di liberazione o di preghiere di liberazione connesse con la Messa, con l’Adorazione Eucaristica, eccetera…
Alla base di tutto questo c’è certamente anche un fraintendimento teologico e liturgico della preghiera cristiana, in particolare dei sacramenti dell’Eucarestia e della Penitenza. Abbiamo visto come sono questi i fondamenti per una liberazione. D’altra parte è storicamente vero che il risveglio dell’interesse per la liberazione dall’attività diretta del maligno è scaturito anche da questi gruppi di preghiera dapprima spontanei e poi organizzati, quasi a rivendicare uno spazio “dimenticato” nella Chiesa, ma certamente non dalla Chiesa.

In un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2000, è contenuta un’istruzione circa le preghiere per ottenere da Dio la guarigione. La Congregazione affronta la questione delle riunioni di preghiera fatte a questo scopo a volte congiunte a celebrazioni liturgiche e in secondo luogo a un “preteso carisma di guarigione”.
Citiamo il documento perché si affrontano problemi analoghi alle Messe ed alle preghiere comunitarie di liberazione. Il documento poi finisce con l’affrontare la relazione tra esorcismo e guarigione per quanto attiene alla liturgia.
Dunque in tale documento sulla preghiera comunitaria di guarigione si pone il problema del discernimento liturgico e del ruolo dell’autorità ecclesiastica nella vigilanza. Al numero 2. si ricorda il sacramento dell’unzione degli infermi, la Messa pro infirmis nel Missale Romanum  ed infine nel De benedictionibus,  l’Ordo benedictionis infirmorum.: “nel secondo formulario delle Preces, nelle quattro Orationes benedictionis pro adultis, nelle due Orationes benedictionis pro pueris, nella preghiera del Ritus brevior” (Cfr. Rituale Romanum, Ex Decreto Sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, Auctoritate Ioannis Paulii II promulgatum, De Benedictionibus, Editio typica, Typis Polyglottis Vaticanis, MCMLXXXIV, nn. 305, 306-309, 315-316, 319).
Il documento al numero 3. precisa che il potere di guarigione dato ai discepoli da Gesù è un potere che “viene donato all’interno di un contesto missionario, non per esaltare le loro persone, ma per confermarne la missione”.
I “carismi di guarigione” (cf 1 Cor 12,9.28.30) vanno intesi come “doni di guarigioni ottenute”. “Queste grazie, al plurale, sono attribuite a un singolo, pertanto non vanno intese in senso distributivo come guarigioni che ognuno dei guariti ottiene per se stesso, bensì come dono concesso a una persona di ottenere grazie di guarigioni per altri.”.
“Nella Lettera di san Giacomo si fa riferimento a un intervento della Chiesa attraverso i presbiteri a favore della salvezza, anche in senso fisico, dei malati. Ma non si fa intendere che si tratti di guarigioni prodigiose: siamo in un ambito diverso da quello dei «carismi di guarigioni» di 1Cor 12,9. «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (Gc 5,14-15). Si tratta di un'azione sacramentale: unzione del malato con olio e preghiera su di lui, non semplicemente «per lui», quasi non fosse altro che una preghiera di intercessione o di domanda; si tratta piuttosto di un'azione efficace sull'infermo.”
Al numero 5, riguardo al  «carisma di guarigione» nel contesto attuale, la Congregazione così si esprime:
La questione si pone in riferimento ad apposite riunioni di preghiera organizzate al fine di ottenere guarigioni prodigiose tra i malati partecipanti, oppure preghiere di guarigione al termine della comunione eucaristica con il medesimo scopo.(…)
Per quanto riguarda le riunioni di preghiera con lo scopo di ottenere guarigioni, scopo, se non prevalente, almeno certamente influente nella loro programmazione, è opportuno distinguere tra quelle che possono far pensare a un «carisma di guarigione», vero o apparente che sia, e le altre senza connessione con tale carisma. Perché possano riguardare un eventuale carisma occorre che vi emerga come determinante per l'efficacia della preghiera l'intervento di una o di alcune persone singole o di una categoria qualificata, ad esempio, i dirigenti del gruppo che promuove la riunione. Se non c'è connessione col «carisma di guarigione», ovviamente le celebrazioni previste nei libri liturgici, se si realizzano nel rispetto delle norme liturgiche, sono lecite, e spesso opportune, come è il caso della Messa pro infirmis. Se non rispettano la normativa liturgica, la legittimità viene a mancare.(…)
Il «carisma di guarigione» non è attribuibile a una determinata classe di fedeli. Infatti è ben chiaro che san Paolo, allorché si riferisce ai diversi carismi in 1 Cor 12, non attribuisce il dono dei «carismi di guarigione» a un particolare gruppo, sia quello degli apostoli, o dei profeti, o dei maestri, o di coloro che governano, o qualunque altro; anzi è un'altra la logica che ne guida la distribuzione: «tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole» (1Cor 12, 11). Di conseguenza, nelle riunioni di preghiera organizzate con lo scopo di impetrare delle guarigioni, sarebbe del tutto arbitrario attribuire un «carisma di guarigione» ad una categoria di partecipanti, per esempio, ai dirigenti del gruppo; non resta che affidarsi alla liberissima volontà dello Spirito Santo, il quale dona ad alcuni un carisma speciale di guarigione per manifestare la forza della grazia del Risorto.”

Le preghiere di guarigione e quelle di liberazione sono spesso contigue nelle riunioni di preghiere di certi gruppi di fedeli ed è per questo che oltre alle serie di norme che il Vescovo deve far rispettare, all’art.8 il medesimo documento afferma:
 “§ 1. Il ministero dell'esorcismo deve essere esercitato in stretta dipendenza con il Vescovo diocesano, a norma del can. 1172, della Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede del 29 settembre 1985(31) e del Rituale Romanum.(32)
§ 2. Le preghiere di esorcismo, contenute nel Rituale Romanum, devono restare distinte dalle celebrazioni di guarigione, liturgiche e non liturgiche.
§ 3. E' assolutamente vietato inserire tali preghiere di esorcismo nella celebrazione della Santa Messa, dei Sacramenti e della Liturgia delle Ore.”.

Si può allora concludere che :
-      La S. Messa in quanto tale è fonte di liberazione, perciò non esiste una messa specifica. Essa può essere applicata con l’intenzione della liberazione.
-      S. Messa deve essere distinta dal Rito di esorcismo. Per conseguenza non è bene inserire momenti di preghiera di liberazione che la modificano. Uno spazio esiste nella preghiera dei fedeli.
-      Dopo la S. Messa, è possibile fare preghiere di liberazione.
-  Quanto detto per la S. Messa vale anche per le atre liturgie (Sacramenti, Lit. delle Ore, Adorazione ecc), bisogna considerare liturgie tutte quelle presenti nei libri liturgici.

2.  Preghiere comunitarie di liberazione
Quando la preghiera è fatta come sostegno per le persone tormentate dal maligno, si può distinguere tra la situazione in cui è presente la persona vessata o meno. Senza dubbio è lodevole che  i fedeli si riuniscano e pregare con tali intenzioni specifiche; se questo viene fatto in luogo sacro o chiesa, è meglio che vi sia un ministro ordinato (diacono, sacerdote).
Nel caso della preghiera fatta alla presenza di fedeli tormentati dal maligno, occorrono delle attenzioni particolari, data la delicatezza del caso. La persona che si suppone tormentata ha diritto alla riservatezza, necessita di un discernimento, di una traccia spirituale che le serva per affrontare il cammino di conversione e liberazione, un riferimento particolare anche per il sacramento della penitenza da parte di un sacredote consapevole ed non ignaro di questi fenomeni straordinari che possono occorrere al fedele. La Chiesa ha preposto per la salus animarum i sacerdoti, i quali hanno il dovere della cura d’anime perchè specificamente preparati e dotati di grazie apposite in forza dell’Ordine ricevuto. Perciò quando la preghiera dei fedeli è fatta in previsione di persone che sono tormentate dal maligno e sono presenti tra la gente è necessario che tutta la preghiera sia guidata da un sacerdote, sia in luogo sacro che non.
Non bisogna ignorare che durante tali preghiere assai efficaci per l’intensità di fede, possono manifestarsi mali in persone che lo ignorano, ed allo stesso tempo, persone che sembrano solo vessate possono rivelare uno situazione più grave grazie proprio alla preghiera e che necessitino di esorcismi. Per tale contiguità tra liberazione e d esorcismo a maggior ragione bisogna che sia presente un sacerdote, perchè non è permesso dalla Chiesa che i fedeli trattino questi problemi direttamente. Ciò detto è da tener presente che il sacerdote che non è esorcista non può prendersi cura delle persone che sono possedute.
Nel caso dunque che durante tali preghiere, una persona si rivelasse colpita in modo più grave di quanto sembri, non bisogna procedere, ma affidarla ad un esorcista. La preghiera dei fedeli però deve continuare incessante per intercedere la grazia della liberazione e sostenere quella dell’esorcista.
Capita spesso, a seconda delle regioni, che una Diocesi non abbia ancora nominato un sacerdote esorcista. Nell’attesa che ciò venga fatto, almeno ad actum, il sacerdote può continuare nella cura del fedele vessato, con preghiere di intercessione per invocare la liberazione da Dio mediante l’intercessione dei Santi. Di questa evenienza, è necessario che venga però informato l’Ordinario del luogo (Vescovo diocesano). In tal caso, non è possibile che venga fatto in pubblico, ma preferibilmente con un gruppo ristretto di persone selezionate per fede, discrezione e disponibilità come indica il Rito  (DESQ) al n. 35. Le preghiere possibili sono quelle indicate sopra. Va tenuto conto che è la fede e l’intenzione che si pone nella preghiera di domanda, così come lo S. Santo ispira e dà grazia.
Poiché gli esorcisti sono comunque pochi ed in genere subissati di casi, è importante e doveroso che un buon numero di sacerdoti lo affianchi facendo preghiere per tutte quelle persone che sono tormentate dal maligno, ma che non ricadono nel caso specifico della possessione. Se tali sacerdoti collaborano strettamente con l’esorcista, sarà più agevole sia il discernimento che la presa in carico della cura spirituale delle persone.
Ciò detto è più agevole comprendere il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1985 firmata dal Card. J. Ratzinger inviata agli Ordinari del luogoche afferma:

«…sequitur ut christifidelibus non liceat adhibere formulam exorcismi contra satanam et angelos apostaticos, excerptam ex illa quae publici iuris facta est iussu Summi Pontificis Leonis XIII, ac multo minus adhibere textum integrum huius exorcismi. Episcopi hac de re fideles admovere curent in casu necessitatis.
Denique ob easdem rationes, Episcopi rogantur ut vigilent ne – etiam in casibus qui, licet veram possessionem diabolicam excludant, diabolicum tamen influxum aliquater revelare videntur – ii qui debita potestate carent conventus moderentur, in quibus ad liberationem obtinendam precationes adhibentur, quarum decursu daemones directe interpellantur et eorum identitas cognoscere studentur.
Harum normam tamen enuntiatio minime christifideles abducere debet a precando ut, quemadmodum Iesus nos docuit, liberentur a malo (cfr. Mt 6,3).  Insuper Pastores hac oblata opportunitate uti poterunt, ut in mentem revocent quid Ecclesiae traditio doceat circa munus quod proprie ad sacramenta et ad Beatissimae Virginis Mariae, Angelorum Sanctorumque intercessionem spectat in christianorum etiam contra spiritus malignos spirituali certamine ».

La lettera fornisce delle norme che intendono regolamentare la materia di fronte ad abusi dell’uso delle preghiere di liberazione od esorcistiche da parte dei christifideles. La lettera è indirizzata a tutti i vescovi e ha quindi un carattere universale.
Essa contiene due proibizioni:
1)    I christifideles non possono usare la formula esorcistica di Leone XIII, sia nella formula estratta che integrale.
2)    Chi non possiede la debita potestà non può essere il moderatore di assemblee ove si facciano preghiere di liberazione, in cui si interpelli direttamente il demonio e si cerchi di conoscerne l’identità. Ciò anche nel caso in cui si escluda una vera possessione diabolica, ma si tratti anche solo di influsso del maligno.
Gli abusi a cui si riferiva il documento erano concretamente preghiere di liberazione fatte da gruppi di laici o da sacerdoti che diventavano veri esorcismi con interrogatorio del demonio. Pertanto, qui non si proibisce affatto la preghiera di liberazione quando è fatta con i criteri anzidetti.


       D. CHI PUÒ ESORCIZZARE E CHI PUÒ FARE PREGHIERE DI LIBERAZIONE

Il n. 13 del nuovo Rito (DESQ 1999, 2004) afferma chiaramente:
“Il ministero di esorcizzare le persone possedute dal Maligno è affidato con speciale ed espressa licenza dell’Ordinario del luogo, di norma il Vescovo diocesano. Tale permesso si deve concedere soltanto a sacerdoti di provata pietà, scienza, prudenza e integrità di vita, specificamente preparati a tale ufficio. Il sacerdote, al quale il ministero di esorcista viene affidato in modo stabile o “ad actum”, compia questo servizio di carità con fiducia e umiltà, sotto la guida del Vescovo della diocesi. In questo libro il termine ‘esorcista’ significa sempre ‘sacerdote esorcista’.
Innanzi tutto, la fonte del permesso è l’Ordinario del luogo che qui è inteso in senso stretto con il Vescovo e solo quello diocesano. Il permesso è dunque relativo al solo territorio diocesano e non si può intendere che un esorcista regolarmente nominato in una diocesi possa svolgere tale compito anche in altre diocesi, anche se saltuariamente: è necessario la speciale ed espressa licenza del Vescovo di quella diocesi. Ci si può chiedere se un altro vescovo possa fare esorcismi nella diocesi altrui. Il testo è assai esplicito, e anche un vescovo avrebbe bisogno del permesso espresso. Espresso significa che non è implicito, ma deve in modo chiaro essere dato sia verbalmente che per iscritto.

Non è fuori luogo vedere una conferma in questo orientamento nella norma dell’Istruzione della Congregazione della Fede del 2000, all’Art. 4 § 3 delle norme disciplinari sulle preghiere comunitarie di guarigione: “Il permesso per tenere tali celebrazioni deve essere esplicito, anche se le organizzano o vi partecipano Vescovi o Cardinali. Stante una giusta e proporzionata causa, il Vescovo diocesano ha il diritto di porre il divieto ad un altro Vescovo.”.
Per analogia, con una giusta e proporzionata causa un vescovo diocesano potrebbe vietare ad un altro di fare esorcismi nel proprio territorio. La norma deve far riflettere seriamente sulla gravità della cosa e la delicatezza con cui deve essere trattata.

Il Vescovo diocesano dunque, nel proprio territorio è il primo esorcista, e anche quando nomina un sacerdote a tale compito, in realtà non delega completamente, ma rimane il responsabile cui spetta la vigilanza ordinaria, ma anche “la guida” sotto cui deve stare l’esorcista nominato. Inoltre al Vescovo vanno riferiti i casi particolarmente difficili e gli esorcismi per i non cattolici come si legge al n. 18 del Rito.

Chi può essere nominato esorcista è un sacerdote, non un diacono e tanto meno un laico. L’avverbio “soltanto” è usato per escludere ogni persona che non sia sacerdote ed è comprensivo anche le qualità che deve possedere. Il sacerdote può essere anche un religioso o appartenere ad altra diocesi. Questo non costituisce impedimento.
L’incarico può essere stabile o ad actum, questo dipende dalla discrezione del Vescovo. Nel secondo caso l’Ordinario affida uno o più casi che egli ha valutato, nel primo invece tutti i casi di effettiva possessione possono essere affrontati dall’esorcista, senza togliere la libertà del Vescovo di conoscere i singoli casi e di valutare personalmente come procedere. Accanto all’esorcista stabile può esserci anche uno ad actum. Si può verificare che la persona tormentata sia venuta a conoscenza del problema con quel sacerdote e desideri continuare con lui per la fiducia ormai instaurata.

Non c’è dunque spazio per gli esorcismi per i laici, anche in caso di carismi, o di carisma esercitato in gruppo. Del resto il documento sulla preghiera di guarigione esclude senza dubbio il carisma appartenente ad una classe di persone:
“Il «carisma di guarigione» non è attribuibile a una determinata classe di fedeli.  (…)  Di conseguenza, nelle riunioni di preghiera organizzate con lo scopo di impetrare delle guarigioni, sarebbe del tutto arbitrario attribuire un «carisma di guarigione» ad una categoria di partecipanti, per esempio, ai dirigenti del gruppo; non resta che affidarsi alla liberissima volontà dello Spirito Santo, il quale dona ad alcuni un carisma speciale di guarigione per manifestare la forza della grazia del Risorto”. (Istruzione, n. 5).

I laici non devono occuparsi direttamente della liberazione di persone possedute attraverso preghiere esorcistiche,. Il documento della Congregazione della Fede lo dice espressamente. La questione dunque non si pone sul piano di quali preghiere si possono fare, ma se si possa affrontare la possessione in quanto tale. Il riferimento è proprio la persona: un posseduto è in una situazione pericolosa e difficile, il laico può pregare per lui, ma il trattamento della persona e l’esorcismo competono solo ed esclusivamente al sacerdote espressamente incaricato dal Vescovo diocesano. Si comprende allora il divieto di usare la preghiera di Leone XIII integrale o nell’estratto, come pure di interpellare il demonio che parla per bocca di persone possedute od anche solo vessate. Lo ripetiamo: il problema non si pone sul tipo di preghiere lecite e illecite, ma se davanti al caso di possessione anche solo sospetta i laici possano affrontarla, al di là delle preghiere. Essi “devono astenersi da ogni formula di esorcismo, sia invocativa che imperativa, riservata al solo esorcista” (DESQ n. 35).
I laici invece, hanno un ruolo di primo piano nella preghiera di sostegno all’esorcista e al posseduto, nell’aiuto anche materiale nel presenziare agli esorcismi, di sostegno morale per quelle persone tormenta e che hanno bisogno di riferimenti anche dopo la preghiera  e spesso le persone in grado di comprenderle e aiutarle non sono né gli amici né i famigliari, ma proprio chi li assiste durante gli esorcismi.

Lo stesso divieto tocca anche i sacerdoti che volessero fare esorcismi senza permesso. Il Rituale poi non parla di delega da parte dell’esorcista ad un altro sacerdote. Il compito è espressamente e specialmente conferito, dunque non delegabile, né condivisibile.
Un esorcista non può dunque estendere la sua facoltà ad un altro, neanche per gli stessi casi a lui affidati. Quando anche fosse coadiuvato, il sacerdote non esorcista non deve fare esorcismi neanche in presenza dell’esorcista, ma solo aiutarlo nella preghiera o nei riti iniziali che abbiamo indicato prima che inizino le preghiere deprecatorie. L’esorcista nominato è l’unico e solo responsabile delle persone in trattamento. Qualora anche vi fossero uno o più esorcisti coadiutori, la responsabilità ultima rimane di uno solo designato dal Vescovo. Uno solo deve essere responsabile morale e spirituale del discernimento e della conduzione degli esorcismi e deve condividere tale compito di responsabilità col proprio Vescovo (Cf  DESQ n. 13).

Riguardo alle preghiere di liberazione è previsto un ruolo ben più ampio sia per i sacerdoti non esorcisti, che per i laici. Una volta escluso l’esorcismo, ossia il trattamento di persone possedute o sospette tali, ogni sacerdote in quanto tale può praticare preghiere di liberazione nella forma e nel modo sopra definite. Occorre però rimarcare che siamo sempre in ambito di attività straordinaria del demonio e pertanto non c’è spazio per l’improvvisazione o la superficialità. Le doti richieste per l’esorcista devono essere anche del sacerdote che affronti tali casi. Alla base di tutto una vita di fede e di santità radicata nell’umiltà.
Ciò che è stato dettato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede sulla preghiera di guarigione e che si trova anche nelle norme del Rituale rimane moralmente stringente anche per la preghiera di liberazione:
-      il permesso del vescovo diocesano per le celebrazioni (comunitarie) deve essere esplicito  (cf Art. 4 §3)
-      E' necessario inoltre che nel loro svolgimento non si pervenga, soprattutto da parte di coloro che le guidano, a forme simili all'isterismo, all'artificiosità, alla teatralità o al sensazionalismo. ( Art. 5,§ 3)
-      L'uso degli strumenti di comunicazione sociale, in particolare della televisione, mentre si svolgono le preghiere di guarigione, liturgiche e non liturgiche, è sottoposto alla vigilanza del Vescovo diocesano in conformità al disposto del can. 823, e delle norme stabilite dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nell'Istruzione del 30 marzo 1992.( Art. 6 ).
-      L’esorcismo si svolga in modo che manifesti la fede della Chiesa e impedisca di essere interpretato come atto di magia o di superstizione. Si eviti che diventi uno spettacolo per i presenti. Durante lo svolgimento del rito non si ammettono mezzi di comunicazione sociale, sia prima che dopo la celebrazione del rito, tanto l’esorcista che i presenti evitino di divulgarne la notizia, mantenendo un giusto riserbo. (DESQ n. 19).

I sacerdoti non esorcisti possono dunque pregare per la liberazione delle persone tormentate dal demonio, ma non possono esorcizzare. Possono guidare assemblee che pregano per questa intenzione, ma devono avere l’approvazione del Vescovo diocesano del luogo dove pregano. La preghiera di guarigione o di liberazione non può sfociare nell’esorcismo. Per la delicatezza della cosa e rispetto delle persone, va curata la moderazione, e la serenità dell’ambiente e della preghiera, non devono essere ammessi mezzi mediatici per esaltare la spettacolarità. Le preghiere sono quelle indicate sopra.

I laici hanno una parte assai importante nella preghiera comunitaria fatta con fede, essi devono sostenere il sacerdote che prega e unirsi alla sua intenzione. Non possono fare preghiere esorcistiche, né in forma deprecatoria né imperativa, in particolare non possono usare la preghiera di Leone XIII sia nella forma integrale che estrapolata.

E.   FREQUENZA DELL’ESORCISMO E GESTI DA COMPIERE E DA EVITARE DURANTE IL RITO.

1. Frequenza
Nella prassi antica come risulta da cronache e da documenti, era normale che l’esorcismo sulle persone venisse protratto con un  forte concentrazione di tempi e durata. L’esorcista continuava per ore, giorni a volte mesi fino a quando il posseduto non veniva liberato. La prassi si ritrova ancora nei Parenotanda del vecchio RR ai nn. 16: “[Esorcista] cum viderit spiritum valde torqueri, tunc magis instet et urgeat.” e 17: “ac si videat se proficer, in ipsa [verba] perseveret per duas, tres, quatuor horas, et amplius prout poterit, donec victoriam consequatur.”.
Il fine dell’esorcismo era e rimane quello di cacciare il demonio quanto più in fretta possibile. Ogni indugio o sospensione non motivato causa sofferenze alla persona tormentata. Così ad esempio non è lecito prolungare gli esorcismi, per sperimentare situazioni prodigiose o per far parlare il demonio con l’illusione di trarre notizie utili ecc. Possiamo pensare che queste preoccupazioni abbiano motivato le norme e la prassi che abbiamo detto.
Il fedele tormentato è in genere il primo interessato ad ottenere la liberazione, dato che le sofferenze fisiche, psichiche, morali e spirituali raggiungono spesso intensità tali e per tempi così lunghi, da compromettere seriamente le virtù della fortezza, della speranza e della fede stessa. Va precisato, però che oltre ai tormenti diuturni causati dalla possessione, durante l’esorcismo la benedizione causa un tormento al demonio, il quale sotto l’effetto dei sacramentali e della preghiera fa torcere la persona fino a deformarla, le provoca dolori in varie parti del corpo: colpi, slogature, graffi, gelo, bruciature, spasmi, e non minori per intensità sentimenti di terrore, paure, disperazione... Mentre l’esorcista prega, la persona soffre, pur sottoponendosi spontaneamente a queste sofferenze, sa di doverle affrontare. Il risultato, quando anche non si ottenga la liberazione immediata, è quello di un indebolimento sensibile delle forze demoniache e un conseguente miglioramento dello stato complessivo di forza e salute. Dopo l’esorcismo la persona può condurre una vita normale per un certo periodo, almeno fino alla benedizione successiva. Così, via via fino alla liberazione definitiva, i tormentati dal demonio riacquistano una vita più dignitosa e meno influenzata dal male.
Il problema, però, sorge durante l’esorcismo. E’ errato credere che le persone possano subire ogni genere di vessazione e non riportarne alcun danno o ricordo. Anche quando c’è perdita di coscienza, tutti i colpi ricevuti dal demonio sono percepiti come se fossero stati picchiati fisicamente da qualcuno.
Con una coscienza più sensibile a questo dato, il recente Rito (DESQ) al n. 34 prescrive: “Tenendo conto delle condizioni del fedele tormentato dal Maligno e delle circostanze, l’esorcista faccia uso liberamente di tutte le possibilità che il rito gli concede. Nella celebrazione, quindi, conservi la struttura generale, ma scelga e disponga formule ed orazioni secondo le necessità, adattandole alla situazione delle persone. a) Anzitutto faccia attenzione allo stato fisico  e psicologico del fedele tormentato dal Maligno, passibile di variazioni nel corso della giornata o nell’arco di poche ore”.
Ci sembra che rimanga, detto in altre parole, l’attenzione alla sensibilità a certe preghiere più che ad altre, a sendo del caso, ma si insiste decisamente alla prudenza che tenga seriamente conto se la persona in quel momento è in grado di ricevere esorcismi o quanto a lungo.
Una nota utile, invece che viene dal passato, è quella lasciata sulla prudenza con donne in stato di gravidanza: si raccomanda di non fare esorcismi per non rischiare di provocare un aborto (Cf H. Baruffaldo, Ad Rituale Romanum commentaria, Venetiis 1763, p. 231).

Gli antichi rituali prevedevano l’ordine dato al demonio di dare un segno preciso del suo abbandono definitivo, ad esempio spegnere una candela o simili cose.
Il vecchio RR all'inizio dell'esorcismo faceva chiedere al demonio il nome, il giorno, e l'ora della sua uscita, con qualche segno, poi al n. 21 prescriveva che a liberazione avvenuta bisognava ammonire la persona di evitare i peccati e di non dare occasione al diavolo di ritornare, per non rendere la nuova situazione peggiore della prima. Ci sembra che il riferimento implicito sia il vangelo di Mt 11 o Lc 12.
Il DESQ non presenta nessun tipo di comando se non al n. 28 in cui si dà luogo all'esorcismo dicendo « la formula invocativa di supplica a Dio e la formula imperativa di comando diretto al demonio, in nome di Cristo, di lasciare la persona vessata ». Non si fa più cenno di comandi specifici al demonio, se non quello di andarsene. Al n. 36 invece si raccomanda al fedele liberato di continuare nella preghiera specialmente quella attinta dalla S. Scrittura e nella frequenza dei sacramenti della Penitenza e dell'Eucarestia, di praticare l'amore fraterno e le opere di carità. È sembrato utile citare come fonte implicita il brano evangelico, perché rileva che una liberazione del fedele, il quale non sia pronto a difendere la grazia della liberazione con una fedeltà al Signore, ma attui una condotta perversa, vale a dire fuori della grazia, si espone ad una condizione peggiore della precedente. Ci sembra che il DESQ richiamando alla perseveranza nel vivere uniti a Cristo mediante la preghiera, i sacramenti e la pratica della carità, abbia come fondamento proprio il detto di Gesù: è questa perseveranza il miglior segno, definitivo, della liberazione. In ciò il DESQ riprende il RR 1614, n. 21, ampliando il generico richiamo a non peccare e proponendo in modo più dettagliato la pratica e gli strumenti di una vita di grazia.

2. Gesti
Nel nuovo Rito, sia nella prima edizione Tipica del 1999 che nella seconda del 2004, nei Praenotanda al numero 20 viene indicato che oltre alle formule degli stessi esorcismi bisogna prestare un’attenzione speciale ai gesti e a quei riti che principalmente hanno luogo e significato da ciò che viene usato nel tempo della purificazione nel periodo catecumenale. Tali gesti sono: il Segno della Croce, l’imposizione delle mani, la exsufflatio e l’aspersione con l’acqua benedetta. Al numero 21 viene spiegato che l’acqua benedetta con cui si inizia il rito è un ricordo della purificazione del Battesimo e difende il vessato dalle insidie del nemico e l’acqua può essere usata anche mischiata con il sale.
Dopo le litanie e i Salmi e la proclamazione del Vangelo, l’esorcista impone la mano sul vessato con cui viene invocata la potenza dello Spirito Santo affinché il diavolo se ne vada da colui che per il Battesimo è diventato tempio di Dio. Nel medesimo tempo l’esorcista può soffiare sulla faccia del vessato (cf. n.25). Infine dopo il Credo e le promesse battesimali, con le rinunce a Satana, e la recita del Padre Nostro, l’esorcista mostra la croce al vessato e traccia un segno di croce sopra di lui: tale gesto indica il potere di Cristo sul diavolo (cf. n.27).
La scelta del nuovo Rituale sui gesti da compiere durante l’esorcismo è caratterizzata da una grande sobrietà e con un richiamo esplicito ai gesti che si compiono nel piccolo esorcismo ossia nei riti del percorso catecumenale per il Battesimo. Così un gesto nuovo appare rispetto al vecchio Rituale, quello del soffio sul volto del vessato che ricorda direttamente il rito del Battesimo. I gesti sono fortemente legati anche alla rinnovazione della fede battesimale della rinuncia a satana, per cui sono legati esplicitamente alla liturgia. Anche l’uso dell’acqua benedetta deve ricordare il lavacro battesimale, come pure l’ostensione della croce fa ricordo della sconfitta del demonio per mezzo della stessa. L’imposizione delle mani ha il preciso scopo dell’invocazione dello Spirito Santo ed è il tipico gesto sacerdotale della benedizione e, se vogliamo, dell’imposizione delle mani del Vescovo per invocare lo Spirito Santo per la Cresima o l’ordinazione sacerdotale.
Ci sembra che la scelta del nuovo Rituale sia quella di escludere implicitamente ogni gesto che non abbia un richiamo con la liturgia e che possa prestare il fianco all’ambiguità del gesto magico: “L’esorcismo si svolga in modo che manifesti la fede della Chiesa e impedisca di essere interpretalo come atto di magia o di superstizione.” (DESQ n. 19). Questo tipo di gestualità proveniente dalla creatività dell’esorcista, può dar adito nel fedele vessato e nei fedeli presenti, ma anche, sottilmente, nello stesso esorcista, all’idea che il gesto stesso sia fonte di potenza esorcistica. Se così fosse la virtus non proverrebbe da Cristo, ma dal gesto o dalla formula recitata, quasi avessero una potenza propria.
Se si guardano i gesti e i segni del precedente Rituale abbiamo una esuberanza di segni di croce, la tradizione di ungere con l’olio dei catecumeni (che stupisce non sia stato accennato). I segni di croce nel rito venivano indicati anche all’interno della stessa formula, cioè il momento, il numero di croci ed anche il luogo, la fronte e il petto. Inoltre un elemento tipico indicato espressamente nel vecchio Rito era costituito dalla stola: durante l’esorcismo un suo lembo veniva appoggiato sul collo dell’esorcizzando.
Negli antichi rituali troviamo anche la raccomandazione oltre all’uso dell’incenso di fare l’esorcismo preferibilmente nei luoghi santi: in chiesa, in un santuario e possibilmente vicino all’Eucarestia. Ad esempio i rituali più antichi del XVI° secolo dopo la Messa, davanti all’altare il sacerdote esorcista cominciava a compiere l’esorcismo. Venivano raccomandati anche possibilmente la vicinanza ai corpi dei santi o l’uso delle reliquie indicando anche la grande cura di proteggerli in panni di seta perché non subissero né offesa né danno. Ebbene, tutte queste modalità erano ben lontane dalla mentalità magica, ma rispecchiavano una esperienza comune che era sottesa nei rituali: l’avversione al sacro della persona vessata. L’avversione al sacro non citata dal precedente rituale come segno diagnostico è invece esplicitata nell’attuale Rito.
In conclusione sarebbe ingiusto pensare di proibire questi gesti esplicitamente in quanto passibili di ambiguità, cioè troppo vicini ai gesti “magici”.
Non bisogna ignorare affatto però che in passato sia tra i laici che i sacerdoti era invalso l’uso “creativo” di gesti e preghiere inventate con uno spirito infettato dalla superstizione (si veda il Malleus maleficarum dove si raccomanda l’uso delle preghiere della Chiesa ecc.). Per questi motivi il cardinal Borromeo nelle Sinodi diede la norma agli esorcisti di usare strettamente i testi comprovati.
Dobbiamo chiederci se questa “creatività” marcata dall’abuso sia veramente lontana dalla mentalità dei nostri tempi. Infatti è facile che i fedeli non comprendano esattamente il senso dei gesti liturgici e possono confonderli con la superstizione e ricercare gesti analoghi di tipo “paraliturgico”. I sacerdoti stessi, che hanno presente il senso teologico di preghiere e gesti, nel fare esorcismi possono incorrere in pericoli subdoli insinuati dal demonio il quale ha tutto l’interesse nel far credere sottilmente all’esorcista di possedere per se stesso un carisma, un potere per proprie virtù, quasi fosse possibile un’autonomia dalla virtus Christi nella creatura. Insomma un esorcista, pur con la perfetta cognizione di esercitare un comando in nome di Cristo e della Chiesa, può cadere nella tentazione di credere di poter fare qualcosa per un carisma inteso come capacità personale.
Un esempio può valere per tutti: le mani del sacerdote sono sacre perché unte dall’olio crismale all’ordinazione. La mano del sacerdote è unta per consacrare, assolvere, e benedire: il demonio ovviamente sente nella sua avversione al sacro la ripugnanza per il sacerdote in quanto tale e il suo gesto nel Rito contribuisce a rendere efficace il segno sacramentale. Tuttavia le reazioni del demonio al gesto o al tocco della mano sul capo dell’ossesso, possono lasciar pensare all’esorcista che sia la mano stessa a possedere una virtù esorcistica e il demonio fa di tutto per lasciarglielo credere. In questo modo il nemico a piccoli tratti insinua nel sacerdote un peccato di orgoglio che lo fa credere capace di compiere esorcismi anziché riferire nella sua povertà di creatura tutto il merito e la potenza a Cristo. E’ utile a tale scopo ricordare che ai discepoli che tornavano esultanti perché anche i demoni si sottomettevano a loro, Gesù disse: “Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nel Regno dei Cieli”. Ossia l’esorcista è un salvato e deve ricordarsi che è debitore in tutto al Salvatore.

L'esorcismo fatto a donne pose problemi di decenza per il contatto anche fisico che l'esorcista poteva avere con l'ossessa. Non bisogna dimenticare anche il fatto che il demonio può approfittare dell'occasione per mettere in atto tentazioni che facciano cadere nel peccato il sacerdote, rovinando in tal modo tutto il suo operato. Così Borromeo prescriveva norme di prudenza: « Quando è fatto l'esorcismo alle donne energumene, questo si compia alla presenza di due uomini provati per età e vita, anche donne provate allo stesso modo e con tutti questi, quando è possibile i consanguinei o affini dell'energumena (...). Mentre esorcizza, eviti di mettere la mano sul capo o sul corpo se non con grande onestà e cautela ». ( Cf C. Borromeo, Conc. Mediolan. IV...).

Il RR al n. 19 non tralascia la stessa norma e prescrive che « Esorcizzando una donna, sia sempre presente qualche persona fidata, che tenga stretta la persona posseduta, mentre viene agitata dal demonio; se è possibile, queste persone siano della famiglia della posseduta. Inoltre l'esorcista, geloso della delicatezza, si guardi bene dal dire o fare qualcosa che possa essere per lui o per gli altri occasione di cattivi pensieri ».
Le norme prudenziali non sembrano per niente inopportune, visto quanto scrive Brognolus, affermando che troppo spesso gli esorcisti rivendicano l'arte del medico. « Alcuni toccano con le mani gli ossessi e maleficiati, specialmente le adolescenti e le giovani, e palpano la parte vessata, ora il volto, ora il petto, ora le braccia e le mani, spesso massaggiano il collo e il petto finché il demonio al contatto delle mani sacerdotali fugga. (...) Chi oserà approvare tale modo di esorcizzare, si chiede l'autore, dal momento che il demonio è un essere spirituale immateriale, a che pro toccare la parte del corpo vessata? Per questo san Carlo Borromeo proibì il contatto con le donne nel IV Sinodo di Milano. Pertanto l'esorcista deve essere pudico con gli occhi, le mani e tutti i gesti e le azioni, cauto non solo per se stesso, ma anche per l'ossessa, e maggiormente in quanto conosce i suoi pensieri, infine per non scandalizzare i circostanti ».( Cf C. Brognolus, Alexicacon, o.c., Disput. IV, Quæstio XX, p. 241). Egli racconta, inoltre, il fatto di certi esorcisti: « ...al contatto o allo strofinamento dei quali, il demonio fingeva di subire il più grande tormento. Ma oh se per tale atto, non avesse suscitato un altro tormento carnale e piacevole, sia nella giovane che nell'esorcista, per il quale molti esorcisti giunsero al baratro » (Ibidem.).

Il gesto dell’imposizione delle mani è tipicamente sacerdotale, non è bene dunque che i fedeli laici lo usino. Un gesto che esprime però non solo solidarietà, ma anche una volontà concreta di accompagnamento nel difficile itinerario spirituale di liberazione e di vita cristiana è quello di prendere per mano la persona quando si prega per la sua liberazione. Sappiamo che in diversi casi di possessione il fedele tormentato deve essere trattenuto per la violenza con cui viene agitato.  Il trattenere è sempre un gesto di amore, come l’assistenza ed il sostegno nella preghiera, ma lo è ancor di più se contemporaneamente qualcuno lo prende dolcemente per mano, a far sentire l’effetto e l’amore che da Dio passa attraverso i fratelli mentre si prega.

d.Gabriele Nanni